“Un ricordo è meglio di niente” pare una battuta davvero spiritosa se pronunciata o scritta (o in fondo anche solo cantata) da un “dimenticato” (ma non dimenticabile) per vocazione come Dan Tracy. Non male comunque per un cantautore punk integrale come lui, che, tra le altre cose, ha contribuito, quasi per caso e senza troppi clamori giornalistici, a inventare il concetto di indie-pop inglese negli anni Ottanta. E mentre tutti incensano a ragione il ritorno dei redivivi Vaselines, quasi nessuno (a parte gli Mgmt, che gli hanno dedicato una bella canzone nell’ultimo album) si ricorda di rendere omaggio a questo piccolo grande maestro dell’autocommiserazione lirica, tanto amato, anche lui, da Kurt Cobain.
Il nuovo album è solo un pretesto per continuare a fare l’unica cosa che sa fare bene e si sostanzia per lo più in schizzi acustici su carta bagnata dal sangue e dalle lacrime amare di un’esistenza ferocemente borderline. Canzoni gracili e tremolanti, un po’ folk, un po’ punk e un po’ solo strane (sentite le incantevoli “Except For Jennifer” e “The Girl In The Hand Me Down Clothes”), messe insieme come sculture di fil di ferro e stracci gualciti dalle mani ossute di un mendicante, trovatore e clochard che ha metodicamente dissipato, tra carcere e dipendenze di ogni genere, l’unicità di un dono raro come pochi.
Il rilancio mediatico tentato qualche anno fa dalla Domino poco ha potuto; valga, allora, questo nuovo quadernino mirabilmente imperfetto di scarabocchi obliqui e lungaggini bitorzolute come monito per chi abbia ancora la voglia di riscoprire una discografia maiuscola, che dorme nell’oblio generale, promessa a una pura invisibilità. A prova di revival.
17/10/2010