"Vantaa", ossia Vladislav Delay atto decimo. Apre tutto, Sasu. Testa e cuore. Ti immerge completamente, tenendoti la testa sott'acqua finché non ti accorgi di riuscire a respirare senza bisogno d'ossigeno. E se anche doveste riemergere, vi trovereste a osservare un paesaggio lunare, con una luce pallida ma che abbaglia. Crateri attorno e il solito isolazionismo. Un'ora esatta per scandagliare il fondo del mare, freddo, coi ghiacci in superficie a latitare a seconda del moto delle maree. E scoprirsi flebili nel respiro e appannati nei movimenti.
Sul fatto che Delay abbia una sensibilità sonora fuori dal comune c'è poco da discutere. Eppure qui, ancora una volta - l'ennesima - Sasu fa capire chi comanda, chi ha l'asso che fa vincere la partita. E, come se non bastasse, le coordinate cambiano ancora. Sì, perché "Vantaa" è parecchio differente dal precedente "Tummaa". Sasu torna in un certo senso alle origini del suo marchio di fabbrica, senza però quella freddezza nel suono che lo contraddistingueva. L'influenza mutuata di "Whistleblower" si fa sentire, a farne le spese sono i funambolismi avant-. Pare che Delay abbia voluto recuperare un contatto molto più fisico col suono, un contatto che ti dice ambient e dub sottile, in un movimento liquido che tutto tocca e niente bagna.
Forse a Delay mancava la Finlandia. Sette anni di stanza a Berlino e ora il ritorno con mogliettina - Agf - e figlia al seguito. Hailuoto si chiama l'isoletta da mille abitanti dove vivono ora. E in "Vantaa" tutto questo si sente. "Luotasi" apre le danze: andirvieni ambient con dub irregolare, solita e cronica impalpabilità, con le nebbie che non cessano di ondeggiare, "Henki" che si fa più fisica nella struttura, con una colonna vertebrale che gira attorno a un dub dimesso e fluttuante.
Delay costruisce frame visivi con una naturalezza impressionante, processando la grana del suono, levigandola e restituendola pura. Ascoltate i landscape di "Lipite" - forse il brano dove maggiormente si sentono le influenze di "Tummaa" - o i giochi acquatici di "Narri" per scoprire il magma dei vulcani oceanici.
Il synth percorre linee fioche e sommesse, che si increspano in un pullulare di rette spezzate ("Vantaa"), per giungere all'estasi cacofonica di "Lauma", tripudio - come non mai nella sua carriera - di beat sostenuto su sfondi grigiastri in loop. A riprendere il candore ci pensa la dub-techno sensuale di "Levite", con la splendida chiusura di "Kaivue" a suggellare il tutto.
Mettendosi in gioco con i suoi vari aka, col moniker Delay, Ripatti riesce a dare sempre il suo meglio, a cacciar fuori quel quid che rende unico il suo suono. Non ci sarebbe bisogno di molte parole per descrivere una totalità fatta suono, ma solamente la voglia di stendersi e rimanere così: sommersi senza essere in debito d'aria. Mai nulla vi sarà sembrato così quieto e limpido.
06/11/2011