Magazine

No Thyself

2011 (Wire-Sound)
new wave

Una certezza alla fine rimane. E cioè che, bene o male, è sempre un buon anno per i dischi di cover e per il revival new wave (dacché le cover e la new wave esistono, è chiaro). Solo quest'anno, a voler mobilitare i nomi maggiori, si sono registrati ritorni più o meno brillanti, più o meno non richiesti, da parte di Cars, Gang Of Four, Wire, Fall, Ultravox e Pop Group (questi ultimi, per ora, invero solo dal vivo). Ed è ora la volta di una formazione che forse più delle altre ha tenuto a battesimo - sin dai movimentati inizi - l'epopea post-punk britannica tutta, vale a dire i Magazine del sempre arzillo e mefistofelico Howard Trafford "Devoto".
Dopo il tour propedeutico, come di prammatica, del 2009 (accompagnato dalle immancabili ristampe deluxe del repertorio storico e da un'esaustiva antologia, "Touch & Go") la band ha infatti deciso di togliere i lucchetti allo studio e autoprodursi un disco nuovo di zecca, che mancava all'appello da trent'anni precisi. Nel frattempo non sono mancati omaggi ai Magazine: sia i Simple Minds sia Morrissey hanno riletto "A Song From Under The Floorboards", e il loro buon discepolo Jarvis Cocker si è scatenato sul palco con "Shot By Both Sides".

Howard Devoto rimane - storia alla mano - un eroe dei due mondi: profeta in patria dell'utopismo punk in tempi non sospetti (è sua, infatti, la voce che annuncia l'inesorabile invasione degli ultracorpi punk nell'Ep buzzcocksiano "Spiral Scratch" del 1977, vera e propria carta fondativa del movimento) e poi, appena un anno dopo, in piena bagarre mediatica del fenomeno, perfido e vezzoso dissidente con i suoi Magazine - artefice, per così dire, di una secessione dalla secessione, destinata a spalancare di lì a breve le porte enigmatiche del "post".
Se, tanto per intenderci, all'epoca dei Sex Pistols e dei Clash c'era qualcuno capace di assimilare sino in fondo il controverso postulato di Lester Bangs "Il punk è mandare affanculo il punk", beh, quel qualcuno era senza dubbio lui, Devoto. Elegante quanto inflessibile parricida, pronto a mozzare con lame affilate la mano che gli aveva dato da mangiare. Del resto, come egli stesso cantava all'esordio della band, "non si è mai perso nella folla".

E il piacere di ritrovare Devoto, John Doyle e il virtuoso delle tastiere Dave Formula oggi tra di noi in invidiabile forma è pari solo alla gioia sincera che i solchi del nuovo "No Thyself" regalano alle nostre orecchie. La formazione è accettabilmente prossima a quella originale, fatte salve le dolorose esclusioni del sempre occupatissimo Barry Adamson (coinvolto attivamente nel reunion-tour) e di John McGeoch, scomparso nel 2004 e sostituito da Norman Fisher-Jones (chitarrista al fianco di Howard nei Luxuria). In copertina c'è una litografia di Odilon Redon (un simbolista, amico di Paul Gauguin e Stephane Mallarmé) legata alla darwiniana "Origine delle Specie" - una scelta che tradisce il colto estetismo di un umanista sottile e giocoso come Howard Devoto e che ricollega senza equivoci il nuovo disco al periodo "classico" della band (già si attinse, infatti, dal catalogo dell'artista francese per il singolo di debutto e per "Give Me Everything") piuttosto che al poco amato "Magic, Murder And Weather". L'enigmatico occhio che ci osserva con un sorrisetto beffardo rappresenta (con la solita ironia, va da sé) la mostruosità di una perversione voyeuristica che è presente in ognuno di noi.

I testi di Howard sono come sempre intriganti, sarcastici, crudi, inquietanti, carichi di suggestioni noir e con molteplici chiavi di lettura. Se qualcuno oggi ritiene Chris Martin il prototipo del frontman albionico brillante e dispensatore di versi intelligenti, non si può che nascondere a stento un sorriso di malizia pensando a quello che un Devoto è ancora capace di dire, ad esempio, in "Hello Mister Curtis (With Apologies)": "Mister Curtis, mister Cobain, ho preso la mia decisione di morire come un re, come Elvis, su qualche maledetto gabinetto". Non lasciano di certo spazio alla fantasia le parole di "Other Thematic Material", con la giustapposizione (di grande effetto) di due distinte narrazioni - la cruda descrizione di un amplesso, dettagli minuziosi compresi, e una mondana conversazione da teatro dell'assurdo legata a letture di romanzi e sorbetti al limone. Trova posto anche una riflessione sulla religione in "Physics", che fa da ponte tra le due parti dell'album ed è ispirata, a quanto pare, dall'ascolto del recente disco natalizio di Bob Dylan ("la religione non è fatta per tutti, e persino la verità può essere qualcosa di negativo", canta Devoto in un'interpretazione quasi alla Richard Hawley). Un po' prevedibile la scelta di destinare alle playlist radiofoniche la morrisseyiana "Holy Dotage" ("Dicono che la storia non si ripete mai, però fa quasi sempre rima...").

Ogni componente della formazione ha partecipato democraticamente alla stesura dei pezzi, e l'apporto dei due nuovi musicisti ha stimolato un songwriting classico, sì, ma mai stantio. Noko (Norman Fisher-Jones) ce la mette tutta e riesce bene nell'intento di non far rimpiangere il suo egregio predecessore sfuggendo con intelligenza la banale emulazione, e il basso flanged di Jon White si inserisce perfettamente nel contesto.
Forse i Magazine di oggi non avranno l'appeal dei WU LYF (tanto per citare un gruppo della Manchester attuale, vagamente associabile ai nostri per lo meno per sensibilità), eppure le nuove canzoni colpiscono per la loro scioltezza stilistica, per la ricchezza delle invenzioni strumentali (certi duetti tra chitarra e tastiera non si dimenticano - si considerino l'introduttiva "Do The Meaning", composta con l'aiuto del vecchio amico Pete Shelley, e la conclusiva "The Burden Of A Song") e per la sofisticata eleganza di un art-rock mai triviale o pretenzioso, che è spesso impregnato di umori notturni e decadenti, ai limiti dell'espressionismo più plumbeo ("The Worst Of Progress..."). Dave Formula arricchisce il tutto con pertinenti inserti di pianoforte, pads e d'organo vintage (vicini a certi arrangiamenti dei Bad Seeds), creando una tappezzeria sonora degna di David Lynch a "Of Course Howard (1979)" e sostenendo con stile un valzer assassino ("Final Analysis Waltz"), il tutto senza mai calcare eccessivamente la mano.

"No Thyself" è dunque un lavoro ispirato, nitido, senza un solo minuto sprecato e che ci riconsegna un quintetto in stato di grazia. Se l'opera di Redon in copertina richiama, come si è detto, le origini delle specie, viene spontaneo associarla al celebre dipinto di Courbet: l'oscenità del peccato originale inscritto nella legge stessa della vita. Fatevi conquistare dal rock cerebrale e cinereo dei "nuovi" Magazine, perché ne vale la pena.

14/11/2011

Tracklist

  1. Do The Meaning
  2. Other Thematic Material
  3. The Worst Of Progress...
  4. Hello Mister Curtis (With Apologies)
  5. Physics
  6. Happening In English
  7. Holy Dotage
  8. Of Course Howard (1979)
  9. Final Analysis Waltz
  10. The Burden Of A Song
  11. Blisterpack Blues*

    *solo nell'edizione limitata in digipack