Ai tempi del precedente "Dorwytch" l'abbiamo detto: Alexander Tucker è un uomo nuovo. Un uomo in evoluzione, di un'evoluzione lineare e consapevole che, apportando nuove e indovinate sfumature a una proposta tanto classica quanto malleabile, tinge di nuovo appeal un progetto ad oggi irrinunciabile per chi lo ama e per chi voglia amarlo.
Un modo nuovo di vedere la (sua) musica che, abbracciando sperimentazione e accessibilità, accontenta un po' tutti, dal metallaro - e Tucker dal metal proviene, ricordiamocelo - magari open-minded (in un range che va dal fan dei Sunn O))) a quello dei Locrian) al seguace del folk più o meno basico. Un'accessibilità che va presa con le molle, poiché né qui né mai l'uomo del Kent disegnerà armonie pop alla buona, ma rispetto alle prime sortite la differenza in quanto a immediatezza è notevole.
Con in testa ancora "Dorwytch", una volta messo su "Third Mouth" pare cambiato poco o nulla. "A Dried Seahorse" si muove dolce, leggera e malinconia, tra chitarra acustica e una sezione archi. "The Glass Axe" prende invece forme quasi progressive, con un pregevole basso che fa da contrappunto ai tocchi di glockenspiel. Sono entrambe meravigliose, ricordano le pagine più coraggiose di John Martyn - e in entrambe, tra tinte pastello e arabeschi orientali, svetta la voce di Tucker che migliora disco dopo disco.
Una voce che di certo risente dell'influenza di Daniel O'Sullivan, non a caso presente sia qui che in "Dorwytch". L'uomo dei Mothlite, da sempre d'animo melodico, è la probabile causa del nuovo Tucker - così come lo fu, ad esempio, Eno per Bowie - e la sua presenza la si ascolta all'organo, percussioni, basso e viola.
In pratica, "Third Mouth" è una faccenda di Tucker con il decisivo apporto di O'Sullivan. E come contorno, per tornare alle nuove sfumature di cui sopra, oltre alla vocalist Frances Morgan in "Mullioned View" (visionaria e mistica) e nella title track ("gloomy" al punto da commuovere), tra le ospitate del disco segnaliamo il sax di Karl Brummer che nella breve "Amon Hen" sciorina un che di Albert Ayler. E badate che la suddetta non è un vezzo per rompere gli equilibri: è funzionale al progetto.
La raccolta si chiude con "RH", sette minuti di elettronica cosmica in forma "pop" come lo fu, trentacinque anni fa, "The Belldog" a firma Eno, Moebius e Roedelius.
Pare cambiato poco o nulla, eppur qualcosa si muove.
Grandissimo Alexander Tucker.
02/05/2012