"Lavoravamo in magazzino, svuotando cesti su cesti di dischi usati e mettendoli in vendita in negozio. Otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana sedevamo lì, cambiando confezioni rotte per delle nuove, ascoltando roba di gruppi che non avevamo mai sentito prima".
(Pedrum Siadatian, Allah Las)
Una storia Hornby-iana per questa band nata nel backroom dell’Amoeba di Sunset Boulevard, dove Pedrum e Miles Michaud hanno lavorato, nella stessa stanza, mettendosi in tasca, di tanto in tanto, qualche disco interessante e misconosciuto.
Quello che ne esce, oltre a un’amicizia forzata, sono un disco e una band che si aggiungono senza troppe pretese al panorama Woodsist-iano, quello psych-pop californiano aggiornato agli anni 80 dal suono appena effettato, jangle delle chitarre.
Nonostante un scrittura molto retromane (“Sandy”, “Don’t You Forget It”, il bel tributo Byrds-iano di “Vis-A-Vis”, rivisti in chiave indie-pop) e interpretazioni vocali altrettanto prive di particolare personalità (un drawl più che vagamente Dylan-iano), “The Allah Las” si segnala per qualche pezzo effettivamente di buon groove (la Woods-iana “Catalina”, la strumentale “Sacred Sands”) e per l’escursione bossanova di “Ela Navega”.
Forse un po’ troppo tributario e acerbo per sedersi vicino a un “Days” o a un “At Echo Lake”, “The Allah Las” rimane comunque una buona cassettina per sognare di altri luoghi e altri tempi.
21/11/2012