Il punto non è se andare o no a Sanremo: il punto è andarci riuscendo a preservare la propria integrità artistica, senza svilirsi, senza snaturarsi, senza svendersi.
In molti in passato sono riusciti nell'intento: penso a quanto fatto dai Subsonica, dagli Afterhours, dai Bluvertigo, da Elio, e in tempi recentissimi da Mauro Ermanno Giovanardi.
Nel caso dei Marlene Kuntz (ma forse anche degli altri) l'idea di partecipare al festival della "canzone italiana" nasce dall'esigenza di dover aumentare il proprio livello di notorietà, e come da copione (vedi quanto già accaduto agli Afterhours) accanto all'aggiudicazione di un importante premio assegnato dalla critica si è registrata la brusca (e immeritata) eliminazione al primo turno.
Forse proprio perché Marlene ha ben figurato, non si è snaturata, non si è svilita, non si è svenduta.
Non è il palco giusto per certi artisti, ma ciò non ha impedito al trio piemontese di dar vita al momento più emozionante della kermesse, quel duetto con Patti Smith che resterà per sempre negli annali della rassegna.
E come dopo ogni Sanremo che si rispetti, in mancanza di un album nuovo di zecca, ecco puntuale la (furba, ma originale) retrospettiva, contenente due inediti e dodici "vecchi" brani riproposti con arrangiamenti riveduti e corretti, quasi sempre addomesticati secondo una nuova sensibilità.
A poco più di un anno da "Ricoveri virtuali e sexy solitudini" e ad appena tre dal loro "Best Of", la monetizzazione della presenza sanremese passa attraverso un'idea che conferma quanto Marlene non riesca (quasi) più a stupirci.
Nonostante "Ricoveri virtuali" fosse stato salutato come un benvenuto ritorno a certi suoni più spigolosi, "Canzoni per un figlio" si posiziona in un ambito decisamente meno noise e più pop.
Un pop d'autore, certamente, ma che allontana ulteriormente la creatura di Cristiano Godano da quella che abbiamo adorato una vita fa.
Le canzoni possono anche essere considerate tutte meravigliosamente belle, ci mancherebbe, ma è difficile riuscire a preferire queste versioni a quelle storiche.
Tutto si fa più acustico ("Stato d'animo", "Ti giro intorno"), tutto si fa più orchestrale ("A fior di pelle"), con alcuni momenti di grande dolcezza ("Canzone ecologica", "Bellezza") rivisti solo per piano e voce, oppure lasciati a sapienti tocchi felpati e spazzolati ("Serrande alzate").
Uno sforzo reciclatorio che si impreziosisce grazie a una "Trasudamerica" resa tex-mex, arricchita dalla presenza di Roy Paci, e grazie alla conservazione dell'aggressività di "Io e me" (con la lunga coda sonico - strumentale che porta a nove minuti questa versione) e "Lieve", condita da una languida slide: sono questi episodi che risulteranno i più graditi ai fan della prima ora.
Molto buoni gli arrangiamenti vorticosi di "Pensa", il secondo inedito della raccolta, con Gianni Maroccolo al basso, mentre può essere considerata un'altra mezza novità "Canzone in prigione" (lasciata nelle sembianze originarie) finora pubblicata soltanto nella colonna sonora del film "Tutta colpa di Giuda" di Davide Ferrario.
Sono dei Marlene Kuntz più lirici, che tendono ad addolcire le proprie proverbiali spigolosità, con l'intento da una parte di promuovere presso un pubblico adulto la canzone del festival ("La felicità non è impossibile/la stupidità la rende facile" è tutto sommato un egregio incipit), dall'altro di dare una seconda opportunità a vecchi episodi, alcuni dei quali rimasti un pochino nell'ombra.
Il disco assume i contorni di un delicato concept, quasi un'intensa riflessione elaborata per essere trasmessa ad un figlio che sta crescendo, e Godano, che ne ha uno di quattordici anni, riesce a calarsi perfettamente nella parte, inserendo nel libretto interno piccoli riassunti che esplicano in maniera compiuta i singoli temi trattati.
Accanto a Godano suonano i compagni di una vita, Riccardo Tesio e Luca Bergia, e gli ormai membri aggiunti Lagash e Davide Arneodo.
Chiaro che chi ha trascorso anni e anni della propria vita adorando classici quali "Sonica", "Nuotando nell'aria", "Il vile", "Retrattile" o "L'odio migliore" (nessuna di queste è stata qui ripresa) rischia di ritrovarsi a fatica dentro le evoluzioni (quasi sempre) s-low di tale operazione (ma anche di album relativamente recenti quali gli inoffensivi "Bianco sporco" o "Uno").
Ma a chi certi pezzi li ha scritti e sbandierati con fierezza, va riconosciuta tutta la libertà di riplasmarli sulla base di una supposta maturità artistica.
Si può apprezzare o denigrare un progetto come questo, si può condividere o meno la scelta delle canzoni, ma se oggi dovessi segnalare a chiunque un disco-raccolta in grado di rappresentare in maniera attendibile il suono e la storia dei Marlene Kuntz, continuerei a consigliare l'elettrizzante "H.U.P. Live In Catharsis", indimenticabile suggello dal vivo dell'irripetibile trittico iniziale della band di Cuneo.
27/03/2012