"Il Paese è reale", cantano gli Afterhours a Sanremo. Una mini-rivoluzione per molti ascoltatori del sottobosco musicale italico. Chi grida al miracolo, chi si indigna, chi parla di naturale evoluzione delle cose. Non di certo naturale è invece che il valido singolo dei milanesi capeggiati da Manuel Agnelli non abbia funzionato da traino per una nuova fatica degli instancabili, quanto da lancio per una compilation di inediti di molti gruppi/solisti indipendenti.
Quasi una rivendicazione di esistenza, come a dire "Ci siamo anche noi", della quale, a dire il vero, non è che si sentisse proprio la necessità. A quanto sembra, però, il tam tam fa breccia anche presso i piani alti dei media, e così XL dedica una copertina a cotanto assemblaggio indie, in cui campeggia, non si sa bene perché, anche da Samuel dei Subsonica.
Lecito chiedersi allora cosa emerga da questa fotografia. Il quadro - diciamolo subito - è piuttosto sconfortante, nonostante comprenda anche molti nomi storici della musica indipendente italiana, da Benvegnù a Parente, da Basile ai Marta Sui Tubi. A ben sentire, sono proprio questi a risultare indigesti, sempre uguali a se stessi, un po' chic un po' punk (nello spirito), un po' melensi un po' snob. Ci sono poi i campani A Toys Orchestra che sfornano una melodia sì delicata, ma altrettanto scontata e sonnacchiosa, il Teatro Degli Orrori che sparpaglia le proprie ceneri con le solite chitarre e un testo alla Al Bano, ma più impegnato (sic!), gli Zen Circus che danno prova del loro peggio, fra preti, merda e rime da prima elementare.
A rinvigorire le sorti, altrimenti nefaste, di questo pseudo-bignami ci sono fortunatamente alcuni episodi positivi. Gli Zu, da poco risorti con "Carboniferous", spaccano il muso tra sferragliate di basso e passo da carro armato, Beatrice Antolini esce dal seminato con "Venetian Hautboy", un po' Beck un po' Tying Tiffany. C'è poi il ciuffo ribelle del Peveri, aka Dente, rivelazione cantautorale degli ultimi due anni. "Beato Me", con un testo romantico e stralunato, tira fuori una melodia stupenda e incalzante, a tratti lenta e sommessa, che improvvisamente si innalza tra tastiere proggarole e un'incisiva chitarra acustica.
Una delle vette nel corso dell'ora abbondante è sicuramente "The Giant", a nome Disco Drive. Il terzetto, che pubblicherà entro l'anno il nuovo disco, destreggiandosi tra i Deerhunter investiti da un rullo compressore e i Wilco imbottiti di spruzzate digitali, estrae dal cilindro una melodia delicata, sorretta da una voce solamente sussurrata, quasi una fiaba in odor di psichedelia.
A conti fatti, c'è davvero ben poco per cui entusiasmarsi. Meglio pensare che il paese reale non sia soltanto questo.
08/03/2009