A volte ritornano. Il prolifico sodalizio tra Steve Roach e Dirk Serries (fu vidnaObmana) è proseguito per quasi quindici anni, da quel 1995 in cui diedero vita al capolavoro cosmo-tribale "Well Of Souls", uno dei lavori più originali dell'intero movimento ambientale.
Di lì in poi, le opere prodotte in collaborazione presero una direzione prettamente sperimentale, lambendo l'ambient-trance prima ("Cavern Of Sirens") e memorie psico-industriali poi ("InnerZone"), senza però mai riuscire a tornare ai livelli del folgorante primo capitolo. Infine vi fu il pessimo "Spirit Dome", tra rumore e disfunzioni, che sembrava candidarsi al ruolo di vero e proprio epitaffio di una collaborazione iniziata nel migliore dei modi e culminata nel più totale eccesso di ambizione.
Gli otto anni trascorsi dall'uscita di quest'ultimo sembravano voler confermare la tesi di cui sopra: ma ecco che, del tutto a sorpresa e senza alcun preannuncio, i due decidono di incrociare di nuovo le loro strade e di riprendere in mano le trame della loro collaborazione.
E "Low Volume Music" sembra volerci anticipare, già dal titolo, un cambio di rotta sostanziale nelle dinamiche del loro percorso: niente più muri invalicabili di droni robotici, addio dissonanze e convergenze industriali. Al loro posto, il paradigma della quiete per antonomasia: il basso volume.
Il risultato è una formula intima, pacata e per certi versi minimale, vicina al Roach "umanista" dei vari "Early Man" e "Afterlight": una ricetta forse un po' furba, che ripropone cliché ben definiti e di sicura presa emotiva, ma che riesce nell'intento di raccontare sottovoce, cullando con dolcezza, la resurrezione del percorso congiunto dei due. Così "Here" apre all'insegna dell'onirismo puro, tra flussi quieti e droni vibranti, lasciando poi spazio ai languidi sussurri di "Whisper" - la miglior incarnazione del concetto espresso nel titolo - e alla più acustica "Closed", che ripesca i languori del Serries dei primi anni Novanta.
La profondità massima è raggiunta però nelle due mini-suite conclusive: "Bow" viaggia a ridosso del cosmo, abbracciando contemporaneamente rarefazione e cicli lividi à-la-Tim Hecker, mentre "Haze" recupera il linguaggio fluido del Roach più nostalgico, cesellando in un quarto d'ora un misto di malinconia, serenità e pace dei sensi.
"Low Volume Music" è un album che guarda indietro, riuscendo a riportare in auge il sodalizio fra i due nella maniera contemporaneamente più semplice ed efficace possibile. Non c'è rinnovamento né sperimentazione, e non siamo certo al livello più alto dell'ispiratissimo Roach di "Back To Life" o delle "Immersions": resta lo sfruttamento di uno standard sonoro in eterno legame con la suggestione, incapace di deludere tanto quanto di impressionare. Per stavolta, possiamo anche accontentarci di questo, e lasciarci cullare abbassando il volume del nostro stereo.
15/09/2012