Negli ultimi tempi in tanti, troppi, fra critici e opinionisti, hanno diffuso e sostenuto una tesi secondo la quale la musica ambient "classica", nella sua forma pura e incontaminata, starebbe subendo una crisi irreversibile. Costoro trovano proprio in questo la causa principale della recente proliferazione di svariate scene intente nella missione di offrirne interpretazioni ed evoluzioni inedite - su tutte quella derivata dalla rivoluzione glitch di Fennesz e del suo "Endless Summer", dall'avanguardia elettro-acustica di stampo drone (Tim Hecker, Philip Jeck, Helios) o dal rinnovamento dei canoni classici (i vari Eluvium, Loscil, Pan American, Stars Of The Lid).
Alla stessa ragione è da molti stata ricondotta una presunta parabola discendente che avrebbe colpito i portabandiera del genere, dal padre assoluto Brian Eno (il cui bellissimo "Small Craft On A Milk Sea" di due anni fa venne zittito con superficialità da più parti) passando per i vari Lustmord e Harold Budd, e per colui che è in tutto e per tutto il teorizzatore della forma moderna dell'ambient tutta: Steve Roach.
L'esplosione creativa del californiano - capace di sfornare nel periodo tra il 2000 e il 2008 dai tre ai cinque dischi all'anno, collaborazioni e live esclusi - ha contribuito non poco a servire l'occasione per stroncare la sua opera, ignorando totalmente i continui progressi e le mille sfaccettature che la sua musica è stata in grado di assumere di album in album.
Nel 2012 Roach festeggia i trentatré anni dal suo debutto sulle scene, durante i quali ha saputo - non senza subire qualche battuta d'arresto - indossare i panni più disparati, donare alla sua musica una miriade di forme in una ricerca che, al contrario di quanto sostenuto da coloro di cui sopra, non si è mai fermata. E "Back To Life" sembra essere qua apposta per dimostrarcelo.
Rispetto al precedente e non troppo riuscito "Groove Immersion", il disco torna ad assestarsi su un'ambient rarefatta e "disturbata" e a presentare la struttura di doppio album brani più suite, in una formula non distante da lavori precedenti come "Midnight Moon" e "Circles & Artifacts". Le disfunzioni si rivelano a tratti sotto forma di ritmo pulsante (il quarto d'ora di humus caustico di "Tranquillity Base"), ad altri mediante inserti glitch (gli oscuri presagi di "Cloud Cover", la temibile morsa di "The Wonder Of It All"). Altrove la forma si rifà più da vicino alle esplorazioni cosmico-metafisiche di "The Magnificent Void", come nel flusso languido di "Touchstones" o nei droni epici della splendida title track. A porsi in eccezione sono le atmosfere minimali e ovattate di "Everything Inside", il pastiche ciclo-melodico di "Where Rasa Lives" e l'ora abbondante di "Mist Of Perception", autentico viaggio nella percezione dei sensi che occupa interamente il secondo disco.
"Back To Life" è album fedele alla linea stilistica divenuta trademark di Roach, ma non per questo estraneo alla contaminazione delle tendenze contemporanee. È un disco ambient in tutto e per tutto, di quell'ambient pura che per taluni è, come già detto, sempre più malridotta: eppure nei suoi brani si respira un'aria fresca e attuale, non certo rivoluzionaria né "nuova", ma totalmente al passo con i tempi. Qualcosa che è avvenuto - c'è da dirlo - in nove decimi della sua produzione recente, quella stessa perennemente bollata come "tutta uguale", "autoreferenziale" e "statica". Con buona pace dei vari detrattori, Roach è ancora fra noi, e con lui l'ambient tutta. O forse, la verità è che entrambi non se ne sono mai andati: tra una presunta crisi e l'altra, la carne al fuoco è di nuovo tanta e promette di continuare a esserlo.
09/09/2012