Universalmente riconosciuto non solo come uno dei più geniali ma anche come uno dei più generosi e prolifici musicisti degli ultimi tre lustri, Sufjan Stevens si esalta particolarmente in questo (amato/odiato) periodo dell’anno, quando donarsi al prossimo dovrebbe obbedire a uno slancio umano e culturale e non solo a una compulsione merceologica e consumistica. Il vero spirito del Natale, infatti, catalizza e moltiplica le sue già fervide energie creative e lo spinge a votarsi a miscellanee raccolte di canzoni a tema di vasto respiro ed elevato spessore musicale. Già nel 2006 con il box set intitolato “Songs For Christmas”, contenente cinque facciate di originalissime riletture di brani natalizi alternate a brani scritti di proprio pugno per l’occasione, aveva fornito un ottimo spunto per i regali di Natale dei suoi appassionati e non solo, visto che l’album vendette decisamente bene, specie se consideriamo la mole di canzoni (più di quaranta) e la pubblicazione indipendente.
E così, a distanza di sei anni e dopo un biennio di relativa parsimonia sul piano compositivo, il suo viaggio nello scibile celebrativo della festività dicembrina riprende da dove si era interrotto con la pubblicazione di un secondo capitolo, specularmente ripartito in cinque ulteriori volumi: “Silver & Gold: Songs For Christmas, Vols. 6-10”.
Fedele al suo umanesimo poetico e crepuscolare, quello di Stevens è un Natale ecumenico, universale, interconfessionale, vissuto nel segno dell’amore e della fratellanza, ma anche della solitudine e della sofferenza che da sempre ne rappresenta il doloroso contraltare, con uno sguardo commosso verso gli ultimi e gli indifesi, i tanti poveri cristi in cerca di una mangiatoia. È un innevato cantico delle creature. Talmente copioso e ricercato da suonare contemporaneamente laico e religioso, antico e moderno, infantile e adulto, tradizionale ma aperto e ricco di contaminazioni. Un Natale vissuto un po’ come il giovane Jack Kerouac, fra tradizione famigliare e spirito d’avventura “on the road”. L’arazzo musicale riannoda e intesse i mille fili del canzoniere stevensiano: dal folk bandistico e itinerante (un po’ ovunque, ma in particolare nel sesto volume) al pop corale da oratorio, dalla musica sacra e pastorale (con brani di Bach, Mendelsshon e Schubert) alle rivisitazioni e improvvisazioni di taglio freak-folk e alt-rock del volume sette, fino all’elettronica di album come “Enjoy Your Rabbit” e “The Age Of Adz”, che si fa sentire soprattutto nell’ottavo e nel decimo e conclusivo volume.
Certo, ai primi ascolti il “concerto” può risultare sovrabbondante e a tratti un po’ pletorico, come l’abbuffata del cenone natalizio, ma con l’andare dei minuti è dolce lasciarsi sopraffare dal flusso ipnotico e avvolgente delle armonie, sorprendere dalla varietà di spunti e delle scelte di arrangiamento e isolare, nel mare magnum delle cantate solenni e delle favole/preghiere più intime e frugali, frammenti preziosi e di rara bellezza. Mentre sul versante più innodico e classicheggiante spiccano in modo deciso episodi come “Angels We Have Heard Of High” o la madrigaleggiante ed elisabettiana “Coventry Carol”, particolarmente fantasiose e riuscite sono le attualizzazioni di brani quasi scontati come una “Jingle Bells” sbrigliata e lo fi, una “Joy To The World” in versione dubstep e con l’inconfondibile inciso frastagliato dal vocoder, ornamento elettronico che spetta anche a “Do You Hear What I Hear” del compositore francese Noel Regney e al pop-soul anni 80 dell’americanissima e ottocentesca “Up On The Housetop”.
Una menzione meritano anche le “carol” più moderne, come “Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow!” (degli autori broadwayani Jules Styne e Sam Cahn) a cui Stevens ritaglia un abito freddo, spettrale, quasi dickensiano, le dissonanti e freak-folk “Happy Family Christmas” e “We Wish You A Merry Christmas”, l’indie-rock scabro e percussivo di “Mr Frosty Man” e “Ding-a-ling-a-ring-a-ling”. Ma le note più liete giungono, dulcis in fundo, dai brani originali dello stesso Stevens, che ne riconfermano una vena intatta ed eclettica: a cominciare dal randagio e solenne fraseggio di “Barcarola (You Must Be A Christmas Tree)”, proseguendo con la commovente, elegiaca “Christmas In A Room”, col trip-hop di “Happy Karma Christmas”, culminando nella magnifica e cullante suite semi-krauta di “The Child With The Star On His Head” (15 minuti) e nella fiabesca allegoria di “Christmas Unicorn” (12 minuti) che parte come una filastrocca acustica e sognante, per sciogliersi dolcemente in una magica variazione, per brandy e caminetto acceso, sul tema di “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Division.
04/01/2013
Christmas Infinity Voyage: Songs For Christmas, Vol. 8
Let It Snow: Songs For Christmas, Vol. 9