Un bel gruppo italiano apre il primo squarcio della stagione discografica del 2012 con un buon album di debutto, che uscirà a febbraio per la White Birch Records, una piccola label della provincia di Pistoia. Si tratta dei fiorentini Walking The Cow (il nome è preso da un vecchio brano di Daniel Johnston, tratto dal suo demotape "Hi, How Are You?", del 1983), nati nel 2005 dal chitarrista (che si alterna anche al banjo, bouzouki, ukulele e mandolino) e critico musicale Simone Bardazzi (scrive attivamente per una storica rivista italiana di rock alternativo) e da altri validi strumentisti, tutti abbastanza navigati nel campo musicale, tanto che il gruppo fiorentino ha diviso i palchi con gente del calibro di Arab Strap, Motorpsycho, Joe Lally, Bevis Frond, Greg Ginn e godendo della collaborazione di vecchie glorie come Simon House, Brian Godding e Pete Bassman. Insomma, un "pedigree" di tutto rispetto, per un gruppo italiano, seppur (purtroppo) ancora misconosciuto.
Prima di "Monsters Are Easy To Draw", i Walking The Cow hanno realizzato un paio di Ep, "Gengis Kahn vs Sarah Cat" (Le Diks Qui Sautent 2007) e l'altro lo scorso anno, che porta lo stesso nome del gruppo. Inoltre, hanno pure scritto la musica per un documentario, "Lost In Election". I nostri amici fiorentini riescono ad amalgamare bene ogni influenza acid-rock californiana degli anni Sessanta, speziandola di aromi lisergici, usati però con molta misura, senza per fortuna eccedere in voli pindarici troppo alti e in sterili riesumazioni stilistiche oleografiche. Insomma, una neo-psichedelia fresca con decisi innesti di indie-rock anni Novanta.
Si apprezza particolarmente la bella voce della cantante Michelle Davis, che riesce per un po' a riportarci all'epoca dei vecchi Serpent Power e One californiani, nelle bella melodia ariosa di "Rorscharch Hands". "Summer Dress" ricorda i primi Opal, mentre i toni più aspri della title track, i fantasiosi intrecci chitarristici di "Movin' Things" e la contorta "Barry", richiamano alla mente il Paisley Underground più creativo (Green On Red, Violent Femmes, Dream Syndicate). Il folk-rock sintetico di "Ducks and Drakes" e "River P.", dai toni "spacey", denotano una certa influenza dagli Stereolab, per via anche dell'uso "vintage" dell'organo Farfisa. "Jesus (Buy Some Porn)", già apparsa sull'Ep dell'anno scorso, è uno strambo country-blues elettronico, con accorti effetti di moog di contorno. La ciliegina della torta è posta alla fine del disco, ovvero la catatonica "Sweetheart", che pare immersa in una fitta nebbia dove si confonde ogni suono e parola espressa dalla cantante, dilatando il tutto fino a renderlo irriconoscibile.
Tanto di cappello a questi cinque musicisti fiorentini, che dimostrano anche una perizia tecnica non indifferente. Speriamo di vederli presto dal vivo e con un nuovo disco, quando sarà.
24/01/2012