Insomma, la curiosità di sapere in che direzione andasse "Above the City", ottavo disco dei Club 8, era piuttosto alta, specie quando lo scorso dicembre l'agida affettazione del primo singolo (e opener del disco) "Kill Kill Kill" (titolo preso in prestito dai McCarthy) scaldava gli animi più gelidi attraverso immagini forti nella sua denuncia verso l'allevamento industriale, quasi a voler imitare certe glaciali atmosfere Burning Hearts-iane. Niente di più sbagliato. Il disco si muove difatti su coordinate opposte, tanto che questa prima traccia stona non di poco nell'insieme globale. E lo si capisce già dalla drum machine pestata in cassa di "Stop Taking My Time" che dà l'abbrivio a neworder-ismi proto-house e sintetizzatori in odor Depeche Mode o con la minimal techno di una "You Could Be Anybody", seppur pezzo di una fragilità emotiva non indifferente.
Johan si dimostra ancora un artista a tutto tondo, che ha masticato pop da ogni tempo e latitudine e di quel bolo ne ha fatto concime per le sue storie raccontate con la dolcezza vocale di una sempre impeccabile Karolina. Ma non si parla solo di electro-dance, perché le melodie a molla dell'ultimo "The People's Record" tornano nel blocco centrale intervallato da due interludi, a testimonianza che potrà anche essere un lavoro mutevole, ma allo stesso tempo è insieme vario come può essere l'umore del momento. "Hot Sun", "A Small Piece of Heaven" e soprattutto "I'm Not Gonna Grow Old" hanno quella caratura di dub-pop-song asciugata al sole di estati baleariche finite un po' troppo in fretta, si pensi in quest'ultima ai compianti (non perché morti, ma perché sciolti) Air France; tutte che sguazzano fra field recordings, cori di bambini, campionature da film erotici e strani materiali da costruzione utilizzati come tamburi e registrati negli scantinati per ottenere il giusto riverbero. A chiudere il quadro le amabili svenevolezze e le pulsazioni sinuose di "Into Air", con quell'incedere un po' Saint Etienne un po' M83 declinato via swedish-pop, mentre afflati melodici attraversano la conclusiva "Less Then Love" (in odor Frida - ABBA) e una "Straight as an Arrow" un po' pacchiana nella sua scopiazzatura ritmica à-la Queen.
E allora "Sopra la città" con la sua semplice ma inossidabile copertina diventa, lo capiamo alla fine, la rappresentazione di un paesaggio interiore che, seppur sfaccettato, seppur poco omogeneo, seppur ormai assurdamente distante dal ragazzo che non poteva smettere di sognare, continua ad illuminare quel buio estatico a cui è stato relegato con canzoni vibranti di una malinconia giovane ma frenetica, accarezzando verità sentimentali di un'estate ormai alle porte. Niente passatismi questa volta: we're not gonna grow old.
(16/05/2013)