Nel tentativo di arrestare il declino qualitativo evidente nelle più recenti uscite soliste dei membri storici del Wu-Tang Clan (un esempio su tutti: “Lost Jewelry” di Raekwon), l’eclettico Ghostface ha saggiamente optato per un ritorno alle origini e a un formato sonoro più congeniale in questo suo album numero dieci. “Twelve Reasons To Die” si basa su un concept cinematico-narrativo scritto in collaborazione con il compositore Adrian Younge (già autore della colonna sonora di “Black Dynamite” e di un disco tributo ai Delphonics) sotto l’egida di RZA, dove i temi ricorrenti della mitologia del Clan vengono riletti alla luce del solito triangolo magico Tarantino-Morricone-blaxploitation con un occhio pulp e citazionista rivolto ai film italiani di genere (horror, thriller e noir, in particolare) degli anni 60 e 70 e alle relative colonne sonore. Quasi un remake musicale, o meglio un prequel che ci racconta la nascita del personaggio di Ghostface Killah, ambientato nell’Italia del 1968 dove il suo storico alter-ego, il sicario Tony Starks, viene ucciso dai dodici affiliati della famiglia DeLuca per aver intrattenuto una relazione con la moglie del boss e i resti sciolti nel vinile (sic!) e pressati a formare dodici Lp (sic!!), scorrendo i solchi dei quali viene rievocato dall’oltretomba il fantasma mascherato, una forza sovrannaturale e (ovviamente) assetata di vendetta.
Al di là del pastiche (o guazzabuglio) “tarantinoide” – qualcosa fra i maestri Di Leo e Argento e il trash ghignante e perturbante di un Polselli o Andrea Bianchi – che sottende il tutto, “Twelve Reasons To Die” è un album ambizioso, ma non pesante, anzi agile e ben delineato nei singoli brani che rimandano a una forma hip-hop canonica e un po’ vintage, caratterizzato da stilemi street e da ritornelli di grande respiro, quasi tutti eseguiti da epiche e solenni corali alla maniera del Morricone del periodo thriller/horror (“La corta notte delle bambole di vetro”, “Chi l’ha vista morire?”, ad esempio, curiosamente ripresi quest’anno anche dai Baustelle, benché in un contesto più “alto” e metaforico). L’impronta dell’inarrivabile musicista italiano, riveduta e filtrata da Younge e Rza (che si ritaglia il ruolo di voce narrante in sporadici inserti parlati), è manifesta ai limiti della ridondanza in alcuni dei brani più riusciti come “I Declare War” (gli acuti melismi di voce femminile nell’inciso), nella minacciosa “Enemies All Around You”, nella lallazione del coro infantile che apre la focale “The Rise Of The Ghostface Killah”.
Per il resto il rhymin’ sempre incisivo di Ghostface Killah, qua e là affiancato da altri Wu-Tang “minori” come Masta Killa, Inspectah Deck, Cappadonna e U-God, si cala alla perfezione in questa dimensione parallela, fumettistica e un po’ nostalgica (a tratti quasi degna di uno speciale di “Nocturno”) cavalcando il piano elettrico riverberato di “Beware The Stare”, l’organo sixties e l’arpeggio orientaleggiante di “An Unexpected Call”, l’elegante e confidenziale orchestrazione soul di “The Center Of Attraction”. Altrove gli arrangiamenti si fanno più crudi ed essenziali, riportando in auge l’hardcore rap anthemico e spigoloso in cui Ghostface e i suoi sono maestri: nella sincopata e tagliente “Blood On The Cobblestone” o nelle sulfuree e spettrali “Murder Spree” e “The Sure Shot (Pts. 1& 2)”.
“Twelve Reasons To Die” è un lavoro dignitoso, anacronistico e, a suo modo, affascinante che, se non riporta Ghostface Killah e i suoi affiliati ai fasti di un decennio fa, ne rilancia comunque le quotazioni presso gli appassionati della saga cine-musicale del Clan.
30/05/2013