Now he's an old Mafia don, from back when/ He managed to survive the game, ducking fame/ (...) And his heart loss and, marksmen take the contract/ (...) He left no prints on the weapon, and he was blasting/ Came home from prison stashing, still stacking/ (...) It's Wu-Tang, it's our thing: Kiss the Ring.
Così Masta Killah nell'ultima strofa dell'ultima canzone. Riassumendo efficacemente il concept stile mafia-movie che è alla base della saga targata Raekwon ma firmata Wu-Tang Clan, per l'occasione Wu-Gambinos, degli "Only Built For Cuban Linx". A quasi tre lustri dal primo capitolo, l'uscita di questa "Part 2" (in gestazione da oltre quattro anni, ma preannunciata e quindi attesa almeno dall'inizio del decennio), lungi dall'esaurirsi in una vuota celebrazione dell'originale o in un mero esercizio di auto-remake, coglie perfettamente l'idea del tempo che passa e trascende la gloria del passato ma anche della maturazione che inevitabilmente porta con sé, rappresentadone la continuazione e il superamento in senso sia stilistico che tematico.
Dopo rinvii omerici, scazzi vari, cambi di produttore e ripensamenti d'ogni sorta, finalmente ci siamo: 22 tracce, quasi ottanta minuti di musica (nell'edizione europea), RZA super-produttore esecutivo di un team di produttori d'altissimo profilo (fra gli altri, direttamente dall'aldilà, l'immancabile J Dilla e poi Erick Sermon degli EPMD, Pete Rock, Dr Dre e Mark Batson), un cast di featuring che vede il Clan schierato al gran completo (con Raekwon che, ovviamente, fa la parte del "boss" e il "consigliori" Ghostface che lo segue a ruota) per un'opera dalla potenza musicale, lirica e cinematica decisamente unica, che non esiterei a definire l'exploit off Clan più fragoroso dai tempi di "Wu-Tang Forever".
La famiglia dei Wu-Gambinos è tornata. Il Boss, Lex Diamonds (uno dei tanti alias di Rakewon), è ancora in sella. Novello Black Caesar. Michael Corleone nero. Guerriero della vecchia scuola appena uscito di prigione e, come Carlito Brigante nel vecchio quartiere, catapultato in un mondo criminale che ha definitivamente smarrito (se mai l'ha avuto) ogni senso d'appartenenza, in cui ogni codice d'onore è alla malora. Costretto a tenere gli occhi aperti e a guardarsi intorno, perché la strada ha mille occhi e ti osserva e, se abbassi la guardia, là fuori c'è sempre qualcuno in agguato e il pericolo più temibile è quello a cui non riesci a dare un nome (difatti a esserti fatale è sempre un cazzo di Benny Blanco, talmente insignificante che nemmeno mentre ti riempiva lo stomaco di piombo avevi veramente idea di chi fosse) e, come Tony Soprano nella sua ultima inquadratura terrena, non saprai mai se dietro l'angolo spunterà uno di famiglia o una sentenza di morte da autenticare col tuo sangue come firma. Una via di mezzo fra "American Gangster" e "The Departed".
C'è un po' di tutto questo, necessariamente romanzato, riveduto e corretto, in "Only Built For Cuban Linx... part 2" ma, fortunatamente, c'è anche molto altro da un punto di vista squisitamente musicale.
C'è un suono che, sia detto senza troppi fronzoli, rappresenta la migliore evoluzione della storica W: essenziale, scarno, tagliente nelle ritmiche, quanto solenne, barocco, complesso nei campioni che spaziano da cromatismi orchestrali, al soul e al funky più aggressivo degli anni Settanta, fino a commistioni interrazziali con la musica pop-rock (in "Mean Streets", ad esempio, c'è un rock-soul cinematico di chiara ispirazione stonesiana/scorsesiana, la conclusiva "Kiss The Ring" si basa in gran parte su un falsetto a loop tratto da "Good Bye Yellow Brick Road" di Elton John, in "Surgical Gloves" ci sono gli Styx riletti in chiave acida e psichedelica, e questi tre brani, manco a dirlo, sono le ciliegine sulla torta di un'opera già di suo inattaccabile).
Fra anthem dinamitardi e antiproiettili in puro Wu-tang style come "House Of The Flying Daggers", "New Wu" (coi cori doo-wop in sottofondo su controtempi appena schizzati) e "10 Bricks", vere e proprie sorprese come i gioielli "Gihad" (cori gotico-chiesastici e implacabile ritmica ultraminimale), "Black Mozart" (un sample tratto dalla colonna sonora de "Il Padrino", virato in chiave soul e trasfigurato da fuzz di chitarra e strie di organo acido) e "Canal Street" (vero e proprio panzer da blackexploitation tarantiniana), frammenti sperimentali ("Penitentiary" con screziature quasi alt-rap e quelle armonie indorientali che ormai sono un tocco d'autore) calibrate concessioni melodiche come il toccante omaggio a Ol' Dirty Bastard in "Ason Jones", "Fat Lady Sings" e "Catalina" (lentone pop dalle tonalità latine), "Only Built For Cuban Linx... part 2" riesce alla perfezione dove avevano (parzialmente) fallito le ultime uscite del giro Wu-Tang Clan.
Probabilmente uno dei migliori dischi gangsta-rap (et similia) del decennio. C'è qualcos'altro che vale la pena di aggiungere? Ah si, baciamo le mani. Anzi: it's the Wu-Tang: kiss the ring.
10/10/2009