Se esistesse un kit anti-hype probabilmente sarebbe il caso di munirsene, prima di approcciarsi all'album di debutto di Alana, Danielle ed Este Haim, già dallo scorso anno sulla bocca di tutti gli aficionados che amano intavolare i soliti dibattiti di inizio stagione sui nomi da seguire, sulle varie ed eventuali next big thing, ecc.... Nel loro caso, il chiacchiericcio si è spinto a livelli inverosimili: copertina di Gennaio del New Musical Express assieme ai Palma Violets, vittoria al Bbc Sound of 2013 davanti a nomi di un certo peso, un pugno di singoli che hanno fatto furore in giro per la rete: insomma, c'era davvero tutto affinché non si giungesse a “Days Are Gone” o nutrendo aspettative isteriche o avendo già da parte bamboline voodoo con le fattezze delle tre sorelle losangeline. Evitando di approfondire ulteriormente le capacità di self-management delle tre ragazze, indubbiamente di un certo spessore (se poi ti bussa alla porta pure una major....), e passando oltre, alla prova dell'ascolto il disco delle Haim non soltanto si rivela lavoro di grande compattezza, ma svela tutto il talento delle sorelle come autrici di pop-songs tra le più irresistibili e appiccicose in circolazione: provare per credere.
Si dichiarano grandi appassionate di gruppi quali le Destiny's Child e le TLC, così come, spostandosi al presente, di rapper come Kendrick Lamar e di Azealia Banks: un entusiasmo nei confronti della musica nera, recente e passata, che le sorelle non avevano esitato a mettere in mostra sin dai loro primi singoli. Geometrie R&B ed evoluzioni soul emergevano già da quando le Haim s'attiravano le attenzioni di mezza rete con la loro “Forever”: una tendenza portata da allora alle estreme conseguenze, tanto da far sì che in parecchi brani del disco gli influssi black diventino preponderanti, fondamenta stesse della canzone (i vispi richiami funk nella title track, ma pure “Song 5”, che un Justin Timberlake potrebbe perfino invidiare).
Naturalmente, non è di certo nel riprendere stilemi e modalità proprie dell'universo afroamericano che si estingue il fascino della proposta del trio; si farebbe notte altrimenti ad indicare quanti prima di loro si erano già mossi in questa direzione, arrivando a traguardo con successo. È nel riadattarne i costrutti, nell'indirizzarne le forme verso il sound dei dischi amati da mamma e papà, i classici di una vita ascoltati sin da ragazzine, che il gioco si fa realmente serio. E le tre, il gioco lo sanno condurre alla perfezione: dialogando in continuazione con passato e presente, scorrendo liberamente tra di essi, le losangeline individuano con precisione impeccabile la linea sulla quale proiettare il proprio sound, sì retronuevo ma con un gusto e una freschezza che ha ben pochi eguali.
Sarà difficile non farsi venire in mente Christine McVie e la stagione dei capolavori dei Fleetwood Mac, se ci si sofferma sulla voce di Danielle in “Honey & I”. Quello che però sembra apparentemente un confortevole abbandonarsi tra le braccia dei mostri sacri, alla volta di una West Coast dai contorni mitici, diventa un simulacro sfocato quando s'imbatte nel trascinante funk di “If I Could Change Your Mind”, mandando in fumo ogni eventuale accusa di emulazione. Un pericolo comunque sventato con la calma delle fuoriclasse, tant'è che pure pezzi più scivolosi, ad esempio il frizzantino “The Wire” e il suo trascinante power-pop, godono di ritornelli killer e di una scrittura che non dura troppa fatica a lasciare il segno.
Occorrerà che tiriate fuori tutta la durezza di cuore che avete a disposizione, se non volete rimanere schiavi nel giro di due ascolti di quella dolce trappola che risponde a nome di “Running If You Call My Name” (tra le performance più “caratteristiche” di Danielle). E sarà bene il caso che chi storce il naso corra ai ripari, altrimenti potrebbe finire preda del trascinante refrain di “Don't Save Me” e non far più ritorno. Il disco non fa sconti a nessuno: contagia e si diffonde con la forza di un virus, la cui consistenza e solidità sono le armi migliori.
Probabilmente sì, ci dimenticheremo di loro tra un paio di anni, come qualche cassandra sembra aver profetizzato. Ciò non toglie che nel 2013, “Days Are Gone” è tra i migliori dischi pop che potrete ascoltare.
27/09/2013