Le Maschere Di Clara è un terzetto veronese che nasce dall’incontro tra i fratelli Lorenzo e Laura Masotto (rispettivamente basso e violino, entrambi alla voce) e il batterista Bruce Turri. La loro storia comincia con l’Ep “23” (Jestrai, 2009), il manifesto del loro post-rock matematico e progressivo ma innervato di un violino elettrificato e da reading declamati ansiogeni e isterici, in un sound tanto muscolare quanto esistenziale, debordanti nella scuola di Emidio Clementi e derivati. Il primo picco di spettacolarità lo trovano negli 8 minuti di “La Scala di Escher”, una strana assemblea tra volute vivaldiane del violino e virtuosismi jazz-rock, una maratona, quasi una battaglia. Istinti neo-classici e teatralità Bertold Brecht-iana sono confermati anche nei contrasti di “Sogni Estinti”.
Il primo “Anamorfosi” (Black Widow, 2010) si arricchisce degli stop and go chirurgici e Fugazi-iani di “23.23”, e nella ballate di protesta (“Habanera”) o le serenate (“Gustavo Rol”) eseguite dai Don Caballero, con citazioni che spaziano dai titoli agli inserti (la “Carmen” di Bizet). Oltre all’utilizzo di strumenti in qualche modo alieni, come l’elettronica in “Venere” e il piano nelle rade “Apidistra” e “Vienna Dorme”, e un canto più presente e fin troppo espressivo, in generale il loro suono prende una fisionomia rassicurante. Seppur forte della lunga e composita “Sonata in Re Minore” e delle citazioni Primus (ma smorzate dallo struggimento del violino) della stessa “Venere”, il disco è comunque di transizione, una prova per testare quanto la band può reggere la lunga distanza.
Il nuovo “L’Alveare”, risultato di un periodo di riflessione, riprende le migliori qualità del primo Ep, soprattutto la sinteticità e la complessità drammatica.
Brani come “Rasoi di Seta” (persino un attacco ballad con piano e batteria), “A Sé Stesso” (con armonie a cappella), ed altre, sembrano chiarire come l’intento del complesso sia quello di pervenire a un nuovo e personale canzoniere d’autore in stile Teatro Degli Orrori, e non tanto alla jam. Il duetto piano-violino di “Notturno” rinuncia persino in toto alla loro sezione ritmica angolosa.
Le citazioni classiche e letterarie si sprecano, da il “Lascia Ch’io Pianga” di Haendel che introduce la dedica a Primo Levi di “Se Questo E’ un Uomo”, retorica nelle sue istanze da musical, a una “Satura” in cui calcano la mano fino a sembrare degli Emerson Lake & Palmer del post-rock italiano. La migliore è sicuramente quella a Luigi Pirandello in “Il Fu Mattia Pascal”, in grado di spaziare da un attacco plateale alla Built To Spill a tanghetto di piano a cavatina per violino, attraverso un reading silenzioso. Quella per Dante in “Fatti Non Foste a Viver Come Bruti”, introdotta dalla lettura che ne fece Vittorio Gassman, pone il violino in bella evidenza, urlante e grave, a dirigere una jam ribollente in un continuo gioco illusionistico di rimandi sonici, ma che poi finisce per spegnersi in sordina. Allo stesso modo il crescendo di “Collezione di Sabbia”, con un canto che spalleggia un violino spagnoleggiante, si spegne in un quieto flamenco.
Stilisticamente confuso, è un disco - con fascino molto intellettuale e poco musicale - che a tratti trova una felice dinamica quasi cinematografica. Nobile, non sempre così indovinato, nel tentativo di accostamento inusuale di citazioni (anche Montale, Quasimodo, Merini), più in singoli momenti che in intere canzoni, in una forma di denuncia storico-poetica più universale e meno infervorata dei corregionali Ultimo Attuale Corpo Sonoro. La Clara del nome è Clara Wieck, moglie e musa di Schumann. Bel videoclip: “A Sé Stesso”. Co-prodotto con Davide “Dave” Venco, contributi del giovane direttore d’orchestra Andrea Battistoni.
06/07/2013