Matangi, la divinità induista che vive ai margini della società, colei che si confonde tra la gente dei ceti più bassi per infondere loro ispirazione e conoscenza in ambito artistico e oratorio. Un po’ come M.I.A. che, partendo dai generi musicali più popolani come il grime e l’hip-hop, porta avanti il suo discorso/lotta sulla libertà di espressione contro l’establishment e il politically correct, sullo sdoganamento globale di un linguaggio musicale senza confini e mai troppo suddito delle direttive occidentali. La quasi omonima dea cui Mathangi “Maya” Arulpragasam ha dedicato il suo quarto album è inoltre considerata la dea impura della contaminazione, identificata addirittura dal cibo avanzato, e mai altro nome potrebbe essere più azzeccato per introdurre un lavoro che trova proprio nel mescolare nervosamente stili e linguaggi contrastanti il suo punto di forza.
Non dev’essere stato facile, per una come lei, venire a patti nel momento in cui ha firmato un contratto con la Interscope: numerose richieste di rendere l’album ora più appetibile al pubblico, ora meno solare e un po’ più cattivo, ripetuti rinvii, e la rapper cingalese, esasperata, che arriva persino a minacciare la sua casa discografica di leakarlo lei stessa in rete se non fosse stato “liberato” con una data di pubblicazione definitiva. Vi era forse il timore di dover affrontare un’accoglienza simile a quella riservata al precedente “/\/\/\Y/\”, ostico e spigolosissimo, che divise letteralmente pubblico e critica senza mezze misure. E sicuramente l’aver mostrato il dito medio in tv davanti a centoquattordici milioni di americani, con successivo e severissimo polverone mediatico, le è già costato un netto calo di popolarità (e una causa da un milione e mezzo di dollari), comunque non alle stelle viste, le mai negate simpatie per gli indipendentisti Tamil.
Chiunque temeva, però, che i rapporti con una major, i duetti con Madonna e tutta la pubblicità extra-musicale scaturitane l’avessero addomesticata e imborghesita può avvicinarsi con tranquillità al suo quarto album, e prepararsi all’ascolto di quello che si presenta subito come il suo lavoro più ambizioso e maturo. A introdurre le danze è l’assalto tribale in perfetto stile punjabi della title track, preceduto dal battito sintetico e profetico di “Karmageddon”. E' solo il preludio al fracasso rappato di “Only 1 U”, pilotato da irrefrenabili stop&go in vaga scia broken-beat, e al tumulto apocalittico della successiva “Warriors”, doppietta che stenderà letteralmente al tappeto l’ascoltatore.
Ma la lucida follia di M.I.A. non conosce mezze misure. Ed ecco così spuntare “Come Walk With Me”, una bizzarra variante r’n’b di “Charmless Man” dei Blur con tanto di auto-campionamento accelerato in coda (“Bamboo Banga”) e il frenetico cut’n’paste di “aTENTion”.
L’inglesina di origini Tamil punta ancora una volta a una personalissima sincronia tra tradizione indù e dinamismo pop. Ogni traccia è un flipper stilistico nel quale è consuetudine perdersi a braccia aperte e ventre agitato. Disorientano e seducono i contrasti netti e agilmente sincopati. E allo stesso tempo appare più nitida la volontà di omaggiare le proprie origini senza indossare veli di circostanza. “Matangi” espone dunque la pretesa di far confluire le due anime della musicista britannica. Una sinergia dosata con l’istinto della piccola tigre e il talento del musicista che sa di non poter rinunciare al proprio ego artistico. Non è un caso quindi che al centro del piatto vengano riposte le fascinose progressioni r’n’b di “Exodus” e “Bad Girls” - a conti fatti gli unici due potenziali singoli straccia classifiche dell’intero album - quasi a voler costituire un nucleo mainstream attorno al quale poi ruotare con indomita maestria, esponendo di volta in volta ogni personale umore o idea possibile.
Spuntano così ulteriori e accecanti incursioni in universi sonori paralleli, come la focosa dancehall di “Double Bubble Trouble”, in cui M.I.A. scimmiotta e onora “Trouble”, vecchia hit del duo Shampoo, o l’attacco moombahton di “Y.A.L.A.” (letteralmente “You Always Live Again”) e il rap cibernetico di “Bring The Noize”. Di tutt’altra pasta, più morbida ma non meno sorprendente, è costituita invece la chiusura del disco, con l’elegante patina pop di “Lights” e della sensuale “Know It Ain't Right” a precedere la conclusiva e altrettanto seducente “Sexodus”, reprise doveroso della riuscitissima “Exodus” (entrambe costruite su “Lonely Star” di The Weeknd).
Mai ribellione ai diktat fu più gradita.
15/11/2013
1. Karmageddon
2. MATANGI
3. Only 1 U
4. Warriors
5. Come Walk With Me
6. aTENTion
7. Exodus ft. The Weeknd
8. Bad Girls
9. Boom Skit
10. Double Bubble Trouble
11. Y.A.L.A.
12. Bring The Noize
13. Lights
14. Know It Ain’t Right
15. Sexodus ft. The Weeknd