Non è un unico album ma tre in uno il “Barragàn” dei Blonde Readhead, opus numero nove escludendo le due brevi appendici “Melody Citronique” (2000) e “Secret Society Of Butterflies” (2005): gli esiti sono quantomeno alterni.
Il primo sotto-album è il trionfo del piattume con cui il complesso ha addomesticato i fan del noise-rock degli esordi trasformandoli in muliebri amanti del pop, a suon di opere incerte come “Misery Is A Butterfly”, “23” e “Penny Sparkle”, da inerti techno basati su bisbigli fastidiosi (“Dripping”, “Lady M”), al vintage anni 60 se possibile ancor più piatto (“Cat On Tin Roof”), fino a una furbetta imitazione degli XX (“Penultimo”).
Il secondo virtualmente reinventa una carriera mainstream in un paio di brani. “The One I Love” è l’unica canzone regolare dell’album e quella più atmosferica, anche se è palese la sua natura artificiale nella giustapposizione di strati di produzione (arpeggi, effetti elettronici, voci trattate). “No More Honey” è il suo gemello in qualche modo “espressionista”, sorta di malacopia della “No More Sorry” dei My Bloody Valentine, un chiaroscuro che nel ritornello alza il volume della distorsione in un vago ricordo della cacofonia dei primi album. A queste va aggiunta la più umile ninnananna per canto riverberato e rumori casuali di “Seven Two”.
Il terzo “album” tenta la carta dell’avanguardia e delle tracce estese, ma gli 8 e rotti minuti di “Mind To Be Had” sono solo un’inetta jam per macchinari elettronici e chitarra (l’entrata della voce verso la fine di certo non aiuta le cose). La piccola suite di “Defeatist Anthem” si basa dapprima sulle tastiere analogiche, mentre la voce di Makino suona come una svogliata intrusa, quindi svariona in pasticci glitch e persino pseudo-cosmici.
Risultato, un malessere di stile che Drew Brown, produttore collaudato e maitre-a-penser della rivoluzione digitale, peggiora in vuotezza d’intenti. Registrato e mixato in due studi, dal Michigan a New York. Il loro album maggiormente dominato da Makino - ricordiamo la sua partecipazione a "Lost" di Trentemøller - con i due Pace che scompaiono nell’apparato barocco degli sfondi sonori, ma è una leadership svenevole e l'esecuzione è stinta, quasi involontaria. Nessun singolo di traino.
17/09/2014