I wanted nasty basslines, stormy bleary-eyed sounds, fiery rough tough and ragged old school house production that sounded almost techno. I didn't want polite, I wanted aggressive.
L'intento di Andy Butler è stato chiaro fin dalla
press release qui sopra. Cresciuto a pane e
dj-set nei locali più spinti d'America, e oggi costantemente in giro per il globo a destreggiarsi coi piatti, il fulvo dj sa bene come lavorarsi la pista da ballo, quando si tratta di mettere mano alla cassa il pubblico pagante è sempre in buone mani. La mitologica creatura
Hercules & Love Affair è la famosa formazione liquida con la quale Andy "ufficializza" le uscite su formato di album. E lo fa mediante l'uso di una forma-canzone più definita e una parata di ottimi
vocalist sempre diversi a dare man forte (in passato ci sono stati voci del peso di
Antony,
Nomi,
Kele e tantissimi altri).
Su carta quindi "The Feast Of The Broken Heart" segue la formula del
featuring, ma l'atmosfera adesso è drasticamente cambiata: secca, cruda e molto poco educata, tanto che il mito dell'antica Grecia sembra un ricordo lontano. Il titolo del nuovo album - nonché la tragicomica copertina scelta per rappresentarlo - alludono a un momento sentimentale piuttosto oscuro per Butler e, apparentemente nel caso suo, la miglior cura al mal d'amore sembra quella di sudare in pista fino all'alba. I nuovi
vocalist vengono affogati in un bagno di
beat crudi e synth serpeggianti, un
dance-de-force reminescente degli anni d'oro delle
gay-disco newyorkesi. Dimentichiamoci i momenti più squisitamente
art del precedente, sottovalutato "
Blue Songs": gli H&LA oggi hanno voglia di far ballare davvero. Peccato, semmai, che, nello scatenarsi in pista con tale foga, a questo giro si siano dimenticati dell'ascoltatore casuale rimasto ancora seduto.
Un insolitamente meno musone
John Grant mette bocca ai momenti migliori, ovvero "I Try To Talk To You" (di cui potete vedere lo splendido
videoclip qui a destra) e l'intensa "Liberty", una melodia arabeggiante affogata di
blip blip robotici e un'interpretazione degna di
Marc Almond. Anche la forbita cantautrice Krystle Warren si lascia alle spalle il suo fardello
black per intonare "My Offence" condita da appiccicosi
refrain (ricordate
TEED?).
Godibili anche il saltellante singolo "Do You Feel The Same?", intonato da un esagitato Gustaph, e l'introspettiva
soulful-house di "Think", con la sfavillante personalità
punk-queer Rouge Mary al microfono. Tuttavia, già su questi brani si può notare la mancanza di un aggancio veramente memorabile capace di poter fare un
crossover verso le platee e il
pantheon del Pop come ai tempi di "
Blind". Il resto del disco scorre via decisamente innocuo dal punto di vista melodico, che sia l'ipnotismo di "The Light", le estenuanti ripetitività di "5.43 To Freedom" e "That's Not Me", o la pasticciata "The Key" posta in chiusura. Anche l'introduzione di "Hercules Theme 2014" non è particolarmente invitante come potrebbe per schiudere le porte del lavoro.
Evitiamo pure di fare scomodi confronti con un passato ingombrante, ma anche al netto di ciò "The Feast Of The Broken Heart" non sempre riesce a lasciare il segno. A tratti troppo poco variegato nello stile, e scandito da una pulsazione squadrata che alla lunga si fa estenuante, il terzo album degli H&LA non rende sempre bene all'ascolto di per sé. Certo, se quest'estate dovessero passarvi una "Do You Feel The Same?" mentre vi trovate in pista, voi non fate i timidi e sculettate pure senza vergogna, lo scopo prefisso da Andy a conti fatti è proprio quello.
17/05/2014