Ora che la Heavenly ha messo mano sull’ensemble più corrosivo e imprevedibile del rock psichedelico, le fruste sono pronte per il massacro pubblico dei ragazzi australiani: già vedo le prime accuse di normalizzazione e di fascinazione mainstream per “I’m In Your Mind Fuzz”, sento i corvi volare sulle note della press-release in cerca di incongruenze atte a sottolineare l’ennesima bolla di sapone.
Mi spiace deludervi, ma i poco più di 40 minuti del nuovo album dei King Gizzard & The Lizard Wizard sono un poderoso calcio nel culo a tutte le convenzioni della musica rock, un flusso mesmerico e ossessivo che assomiglia a un groove rituale, dove ognuno sperimenta nuove estasi post-peyote. Le prime quattro tracce sono un unico corpo affine al glorioso totem di “Head On/Pill”, ma più sregolato e meno autoindulgente, quasi uno sberleffo a chi sperava in una maturità senile dei nostri. Le due batterie sono sempre più incalzanti, l’armonica si sfilaccia sempre con più dissonanza, la voce si altera perdendo connotazione temporale e logistica, il blues si fa sempre più strada e il flauto suona come la vera novità del loro quinto capitolo discografico (sette con i due Ep).
Per i King Gizzard & The Lizard Wizard la registrazione a basso costo non è un vezzo, ma l’unica soluzione per trasferire su disco tutta l’irregolarità delle loro performance live, anche se la sensazione che “I’m In Your Mind Fuzz” sia registrato con tecniche lo-fi potrebbe essere smentita dalla loro attitudine a soluzioni sul campo sempre imprevedibili (non dimentichiamo l’album inciso con una serie di iPhone posizionati a mo’ di rete).
Non resta che goderne i frutti, in episodi al limite del rozzo che si sporcano di blues e psichedelia senza alcuna regola (“Satan Speeds Up”), a sua volta incastonato tra due droni lisergici denominati non a caso “slow jam” (“Slow Jam 1” e “Her And I - Slow Jam 2”).
Esilaranti come un gruppo mod e irriverenti come un gruppo di garage-punk, gli australiani si dimostrano ancora i più abili forgiatori di trance psichedeliche con meno di tre accordi, e non solo perché l’ottuso quartetto iniziale di “I'm In Your Mind”, “I'm Not In Your Mind”, “Cellophane” e “I'm In Your Mind Fuzz” offre in verità più variazioni (mono)cromatiche di una sinfonia di Beethoven, ma anche perché quando il gioco si fa serio è difficile restare immuni al loro fascino orgiastico e liberatorio. È proprio nei sette minuti del piccolo capolavoro “Am I In Heaven?” che è evidente la loro abilità di compositori e destrutturatori delle loro stesse creazioni liriche, al fine di superare la banalità dei revivalisti.
Non sperate di trovare momenti di relax o di calo di tensione in “I’m In Your Mind Fuzz”. Tra i citati gioiellini si nascondono ossessioni pop-funk dall’inattesa deriva underground (“Empty”) ed eclettici landscape a suon di flauto (“Hot Water”), il cui solo scopo è creare una continua estasi giaculatoria che vi renderà, se non felici, almeno spensierati.
02/12/2014