“This is a Radian album. I'm only living in it.”
(Howe Gelb)
Ce li immaginiamo senza fatica i tre scienziati, cinque anni dopo “Chimeric” e giusto al decennale dell'indimenticabile “Juxtaposition”, mentre indossano i loro camici e rientrano in laboratorio, pronti a ri-applicare il loro metodo sperimentale. E non possiamo, conoscendoli, non supporre che abbiano di nuovo qualcosa di grosso su cui operare. Ce li immaginiamo, sì, e sbaglieremmo. Perché stavolta le cose sono andate diversamente, e ogni buon metodo dopo un po' sta stretto a chi fa arte, anche quando l'approccio è il più scientifico di questo mondo. Qualcosa già affiora, a ben volerci vedere, sin dalle premesse: abbiamo detto “tre” e non “quattro” perché Stefan Németh ha abbandonato il carrozzone, libero finalmente di edificare abstract-techno nel miglior solco raster-noton (Innode) e di dedicarsi a tempo pieno alla sua Mosz.
Ed ecco che il timone finisce tutto nelle mani di
Martin Brandlmayr, il cui interesse per le decostruzioni cantautorali non è certo mistero – il più blasonato fra gli esempi è il cameo con
Sylvian su “
Sleepwalkers”. C'è indubbiamente il suo zampino in questi
Radian: più spogli, più essenziali, più rock e meno rumorosi. E c'è indubbiamente la sua mente dietro la scelta di aprire le porte nientemeno che al collega e compagno di
label nel catalogo Thrill Jockey
Howe Gelb, dichiarando consumata una prima fase del percorso del trio (quella, appunto, del metodo di cui sopra) e mettendone alla prova della contaminazione il suono raggiunto. Lo sfuggente cantautore è qui ospite nel senso più stretto del termine ed è proprio lui a spiegarlo nella citazione in apertura: trattato come un embrione, impiantato con tutte le sue caratteristiche e fatto sviluppare all'interno del laboratorio sonoro Radian.
Ma quest'ultimo non è stavolta il regno dei
laptop, e i tre il camice l'hanno appeso per reinventarsi artisti puri, limitando pure l'uso del microscopio al solo controllo finale, donando al tutto una carica espressiva inedita, a cavallo fra insaziabile malessere e libertà
freak. E così, il marchio che ha trasfigurato il post-rock originario in materia per esperimenti al
laptop è ora alle prese con un pezzo come “Pitch And Sway Again”, rubato senza vergogna ai
Tortoise più pulsanti, con Gelb che può permettersi addirittura di fare il
crooner in versione illuminata. C'è di che rimanerci sconvolti, in effetti. Perché se da un lato “From Birth To Mortician” conferma il divertimento nell'uccidere a suon di rumor bianco i canoni tipici della
psych-song – qui però affrontata senza veli – gli spettri danzanti della marcetta d'apertura “Saturated” mostrano che la decostruzione non è più un dovere.
E per quanto la lunga coda a sbuffi di “Saturated Beyond” sia lì apposta per compensare, l'elettronica si conferma al servizio di basso e batteria. E la scena si ripete nella nevrotica “The Constant Pitch And Sway” e nei suoi cambi d'umore: dall'angoscia fra petardi e proclami in principio a una seconda parte che prende a sassate i
Doors senza pietà. In tutto ciò, quanto di più stupefacente è racchiuso nei passaggi atmosferici di “Return To Picacho Peak” e “I'm Going In”: la prima è l'omaggio firmato Radian al compianto
Lou Reed, l'ipotetica desolazione oltre “
Berlin”; la seconda è un affresco limpido di palpitazioni, arpeggi e sfregi che spiega nei cinque minuti più intensi del disco quanto Brandlmayr abbia preso (e dato) da (e a) “
Bécs” di
Fennesz.
La trasfigurazione conclusiva della celebre “Moon River” non è nulla più di un
divertissement, che suo malgrado assume il ruolo di manifesto: qui c'è il (post)-rock secondo i Radian, a
laptop spenti e con un
frontman umano di lusso in più. E ci sentiamo, se non di preferirlo, per lo meno di affiancarlo a quanto di più straordinario fuoriuscito dai laboratori dei tre.
16/12/2014