Alla “new wave” cantautorale neozelandese si aggiungono il vocione e gli occhialoni da antidiva della ventitreenne Nadia Reid, la cui giovane età è ben camuffata dal tono cameristico - anche se un po’ ingessato - di questo “Listen To Formation, Look For The Signs”. La seriosità del disco cela, infatti, un’espressività ancora da sgrezzare, una non completa dimestichezza con la propria visione artistica, di sé e del mondo.
Ciò detto, questo esordio rappresenta una tappa meritevole in quest’anno di folk e cantautorato, per via del semplice, classico songwriting, che potrà ricordare le First Aid Kit di “The Lion’s Roar” (“Seasons Change”), con interpretazioni però, almeno nello stile, più mature, e rese un po’ più personali grazie al flebile vibrato della calda voce della Reid. Spesso però il confine tra una maturità precoce e quella forzata di una Laura Marling si scopre labile.
Il sound, azzeccatamente intimo e colloquiale, dona profondità ai brani della neozelandese – sebbene mai stupefacenti (il pezzo migliore è il Lindelof-iano, o Stratton-iano “Call The Days”), l’atmosfera creata (con pochi mezzi, la slide, un violoncello) supplisce alla non eccelsa originalità della scrittura, orchestrando un cullante, suadente sottofondo (“Some Are Lucky”, “Just To Feel Alive”) dalle fumose folate Young-iane (“Track Of The Time”).
Un po’ per la rigidità espressiva, un po’ per la mancanza di eccezionalità della scrittura, “Listen To Formation, Look For The Signs” rimane però uno di quei lavori “di genere”, che possono interessare soprattutto agli appassionati.
03/12/2015