Mavis Staples ha avuto, sulla musica black nel suo complesso, un’influenza difficile da quantificare e mettere su carta. Un’autentica queen – in un’epoca in cui del suddetto termine sono in molti ad abusare – dell’universo soul/r&b/gospel; capace di tessere, con la sua voce da baritono, trame ultraterrene cariche di spiritualità, e di farlo con stupefacente continuità.
Anche nel 2016, perciò, ci ritroviamo ad ascoltare l’ultima fatica della Staples, constatando come il tempo trascorso non ne abbia scalfito il mito e men che meno la possente voce. Ne sono passati di anni – e di mode, musicali e non – da quando, tra le fila familiari degli Staple Singers, metteva il suo talento a disposizione delle campagne pacifiste del pastore Martin Luther King; da quando, qualche decade più in là, quello stesso talento diveniva malleabile nelle sapienti mani dei discografici Stax, di
Curtis Mayfield e infine di
Prince. Eppure già i precedenti due album, supervisionati da Jeff Tweedy dei
Wilco (“
You Are Not Alone” e “
One True Vine”), ci avevano restituito una Mavis Staples in stato di grazia e saldamente sul trono, con sul viso stampato il suo rassicurante sorriso.
“Livin’ On A High Note” non fa che confermare tale impressione seppur, complessivamente, l’album risulti meno convincente dei suoi due, sopracitati predecessori. La produzione di
M. Ward, per quanto sentita e generosa, non conferisce al lavoro le stesse linee-guida, tipicamente folk, di cui era stato capace Tweedy. L’effetto “patinato” e di “appiattimento” è perciò un rischio latente, che viene meno per merito della varietà di firme messesi al servizio della Staples per l’occasione.
Spaziando da un’intimità suadente (“Dedicated” di
Justin Vernon) a inni gioiosi (ora a tinte country-gospel, “Love And Trust” di
Ben Harper; ora maggiormente blues-rock, “High Note” di
Valerie June), passando per episodi tipicamente soul (“Tomorrow” di
Aloe Blacc e “If It’s A Light” di
The Head And The Heart), è la
performance della regina Mavis a tenere egregiamente insieme il tutto.
Nonostante le canzoni siano piacevoli all’ascolto, è altrettanto vero che non siano presenti picchi autoriali. Con una eccezione:
Nick Cave appone la sua dedica a Mavis Staples in chiusura del disco; e il binomio tra l’autore e la
performer ci regala, in definitiva, l’episodio che sbaraglia la concorrenza. “Jesus Lay Down Beside Me” è un gospel elettrico, corale, marchiato Cave sino al midollo: desolato, raffinato, disperato, provocatorio (si domanda a Gesù se abbia lui bisogno di un aiuto, di conforto).
“Livin’ On A High Note” non è un album necessario, né particolarmente originale nel suo sviluppo. Ma se ciò di cui andate in cerca è classe, carisma, soul (nel suo significato letterale) e di una interprete capace di trasmettervi tutto ciò, la vostra ricerca troverà qui il suo approdo.
12/04/2016