Mountains And Rainbows

Particles

2016 (Castle Face)
garage-rock

Matthew Ziolkowski, in arte Matt Z, è il batterista storico dei Tyvek, formazione tra le più in vista della scena garage-rock di Detroit. Assieme al frontman di quella compagine, Kevin Boyer, oltre a un manipolo di altri musicisti, ha condiviso però per un decennio anche un altro progetto, Mountains And Rainbows, seppur a gerarchia rovesciata e quindi nei panni del leader. L’amicizia e le collaborazioni con i concittadini Protomartyr, un paio di singoli invisibili pubblicati ormai nove anni or sono, una cassetta uscita in tiratura limitatissima nel 2014, e nient’altro: era questo il curriculum della formazione collaterale del Michigan quando si è ritrovata ad aprire in casa, nella metropoli del Midwest, un concerto dei Thee Oh Sees. Pur con Boyer già sfilatosi per altri impegni, i cinque devono aver fatto proprio faville su quel palco per convincere John Dwyer a offrirsi all’istante di migliorare e promuovere le loro canzoni con la sua etichetta, la Castle Face.

Il resto è storia recente: l’esordio a lungo atteso, “Particles”, nei negozi in formato doppio vinile sin dallo scorso maggio, e l’immediato reclutamento live da parte di grossi nomi del circuito tipo i Super Furry Animals.
Ora sbiellate e anemiche (“AM 580”), ora efferate come grattugie (“Sycamore Tree”), le chitarre si offrono in un tripudio di lacerazioni mentre il cantato enfatico à-la Iggy Pop fa schizzare alle stelle i coefficienti di isteria. In avvio, effettivamente, la scalcinata macchina da guerra si produce in una feroce prova garage-punk a elevatissimo tasso alcolico, pur non disdegnando occasionali puntate in zona psychobilly così da omaggiare per via indiretta l’idolo Lux Interior e i suoi Cramps (“See How They Run”).
Romanticismo a brandelli e verve sguaiata completano il quadro dei riferimenti in una prima facciata particolarmente euforica, richiamando alla mente anche le spigolose spremute di cuore dello spirito affine Billy Childish (con il quale condividono pure l’assenza di pause utili a tirare il fiato) o l’ilarità gigionesca del miglior King Tuff (“Dying To Meet You”), pur senza spacconate glam. In “Treat Your Mind”, il cammeo di un sax decisamente turgido riporta invece con prepotenza dalle parti della viziosa joint venture psych-soul di King Khan con i tedeschi Shrines.

Nella seconda parte gli scenari cambiano in modo repentino e il disco letteralmente si sfrangia in una serie di ipotiposi prive all’apparenza di alcuna logica ordinatrice, le particelle o frammenti cui il titolo della raccolta allude. Così i Mountains And Rainbows mostrano di non volersi precludere anche una furia decostruzionista degna dei progetti più estremi a firma Robert Pollard, offrendo la propria veemenza in prove di rumorismo particolarmente incoerenti, sadiche e invertebrate, numeri dalla più marcata ambizione sperimentale che corrompono con sommo compiacimento i dettami della forma-canzone per privilegiare un flusso torrenziale di impressioni sonore (“Fancies”, “With Beefheart”).

Il gruppo si rivela oltremodo interessante pure in questa variante più astratta e inanella un filotto di brani onestamente incredibili, deliranti, con più di una reminescenza dagli Akron Family. Nel calderone anche dolci evocazioni Hillbilly (“I’m A Peaceful Man”), esercizi di miniaturismo garage-pop alla maniera di White Fence (“Ma’am”) e spettrali esorcismi psichedelici in odor di tardi Sixties (“Vision Of Sanity”) oltre ai quattro episodi della serie “Beach Jam”, delicati scherzi surf-calypso in bassa fedeltà. A tirare le somme, un bel viaggio allucinato in quasi mezzo secolo di musica da reietti e rock alternativo, sempre e comunque senza rinunciare a una certa inflessione malata o irriducibilmente aliena (il superlativo crepuscolo di “Faulter”).

E le affinità con le creature del loro mentore, si chiederà qualcuno? Poche, se si esclude la comune vena ludica o naif che emerge in particolare nei titoli più sconclusionati del lotto, su tutti una title track che ricorda la brodaglia primordiale dei lavori di Dwyer ancora a nome Ocs.
Con tutti questi folli indizi al loro posto, quello che affiora è quindi l’identikit di una band a più dimensioni, in uno dei pochi esordi da ricordare dell’anno che – senza grandi squilli – se ne va in archivio.

22/12/2016

Tracklist

  1. AM 580
  2. See How They Run
  3. How You Spend Your Time
  4. Treat Your Mind
  5. Sycamore Tree
  6. Dying To Meet You
  7. With Beefheart
  8. Particles
  9. Fancies
  10. Beach Jam #1
  11. Ma’am (I Like Your Daughter)
  12. Beach Jam #2
  13. Dad Rock!
  14. Vision Of Sanity
  15. Beach Jam #3 - Kingston ’67 (Take Me To The River)
  16. I’m A Peaceful Man
  17. Faulter
  18. Beach Jam #4

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