Shitgaze, weird-garage, weirdo-punk. Le atrocita' del "no-rock" americano

La mostra delle atrocità: weird garage-punk, shitgaze, brodaglie synth-wave e i nuovi aborti del (no) rock americano. Un viaggio nel sottobosco del rock a stelle e strisce alla scoperta di un’ennesima mutazione, tra suoni in bassa fedeltà e pop song andate a male.

Cosa sta accadendo nel sottobosco del rock americano in questi ultimi anni? Nulla di particolarmente nuovo o forse sì. Ovvero? La devoluzione sembra essere arrivata al punto di non ritorno. Non bastavano le nuove compagini dell’ultra-noise più derelitto o in generale della New Weird America a far saltare nuovamente il banco della buona creanza indie-rockista, evidentemente c’è una qualche oscura matrice che, particolarmente in certe lande desolate, continua a partorire genie di musicisti fuori di testa. O forse solo disperati che non trovano di meglio da fare che crogiolarsi nelle macerie del dopo-bomba. E’ già successo, e continuerà a succedere. A cambiare, però, è, in questo caso, la natura della bomba, non più da intendersi come un’ipotetica spada di damocle da conflitto atomico prossimo venturo, ma come l’ennesimo cambiamento di paradigma atto a scompaginare non solo l’industria discografica nel suo complesso, ma anche l’underground più nascosto e poco affine ai trend. Si parla di internet, ovviamente, che, dopo l’avvento dell’elettronica casalinga all’inizio degli anni 90, ha determinato un ulteriore appiattimento nella filiera produttiva, permettendo e a chiunque di incidere dischi. E’ da tempo si dibatte di ciò.

Allora l’approccio dominante nei contesti underground - ammesso si possano ancora definire così - è più che mai quello DIY, esasperato oltremodo dalla cultura del web, delle autoproduzioni, e in generale da un sistema in cui è sufficiente esistere per essere in qualche modo visibili. Ecco che l’affrancamento da ogni vincolo produttivo produce un’enfasi sul DIY non tanto a mo’ di filosofia musicale tout court, come poteva essere nel periodo del punk, ma come il lasciapassare necessario e sufficiente a garantire visibilità. Basta registrare qualcosa, non importa come e con quale qualità, e aprirsi uno spazio web per esistere. Allora i suoni devoluti di questi anni trovano una spiegazione oltre che nell’attitudine di ciascun “artista”, anche nelle possibilità date dagli strumenti di produzione, informazione e diffusione e dalla loro relativa semplicità d’utilizzo. Ancora una volta è il mezzo più che il messaggio a determinare il cambiamento. Ma è come scoprire l’acqua calda. A conferma di tutto ciò, basta leggersi la una dichiarazione di Matt Whitehurst dei Psychedelic Horseshit che così rispondeva a un intervistatore che chiedeva lumi sul loro modo di suonare dal vivo: “We have songs but they rarely get played the same way twice. Not because we’re super-awesome and like to improvise but because we really suck and can’t play the same way every time”.

Capito a che livello ci muoviamo? E dal punto di vista strettamente “artistico”? I suoni di questi anni sono il frutto di questa rottura di paradigma, ma probabilmente siamo arrivati a una fase di transizione, anche perché la rivoluzione intenettiana non è stata affiancata da alcun pensiero forte. A tutti i livelli. E’ più che mai l’epoca del pensiero debole e del relativismo (che piaccia o no) e la mancanza di una cultura “dominante” ha ovviamente ripercussioni sullo sviluppo di immaginari artistici ben delineati. E da qui questa fase di transizione che dal punto di vista musicale fatica ad apportare novità di rilievo (dubstep a parte, forse) se non continui rimasticamenti e rielaborazioni di stilemi già proposti in passato. E lo shitgaze, di cui parleremo a breve, è una delle conseguenze di questo stato di cose.

Diventa difficoltoso persino trovare riferimenti più o meno certi sulla base dei quali valutare la qualità di una proposta. Ogni sottocultura agisce in un contesto relativizzante come non mai, incoraggiata ancor di più dalla visibilità data dal mezzo. Ognuna di esse ha ragione di vantare una propria valenza intrinseca, per il fatto di esistere e di avere una sua coerenza interna, senza sentire la benché minima necessità di un vaglio di qualità da parte di un sistema verticistico che dal garage sottocasa porti alla pubblicazione di un disco, magari su major.

Se ciò era vero all’epoca del punk e della nascita di etichette indipendenti, ciò è ancor più vero in questo periodo in cui internet ha avuto la funzione, tra le altre, di allargare ancora di più la base della piramide, permettendo a chiunque di incidere musica e di vedersela in qualche modo pubblicata. Emblematico in tal senso è il fenomeno delle net label. Il vaglio di qualità, ammesso ve ne sia uno, viene dall’interno della comunità stessa. In queste piccolissime comunità parrebbe vigere ancora una sorta di scambio simbolico pre-moderno, in virtù del quale tutto ciò che viene prodotto è scambiato con assoluta reciprocità, senza che vi siano surplus produttivi capaci di ingenerare rapporti di potere o dipendenza. E da qui tutta la messe di cd-r di questi anni, che attengono al desiderio di esserci, più che alla possibilità di fare soldi.
Le situazioni di cui si tratta in quest’articolo sono espressamente frutto di una cultura di rete - nel senso tecnico del termine, ovvero di rete informatica prima ancora che sistema di relazioni - e non conseguenza di un immaginario preponderante o di un’idea (contro) culturale verticale e stratificata.

Allora, siamo in presenza di una latitanza; latitano le idee forti a ogni livello, a favore di ciò che Chris Anderson chiama "masse parallele", ovvero nicchie poste l’una accanto all’altra in modo "orizzontale" e con la pressoché medesima visibilità e facilità (o difficoltà) d’accesso.
Diventa difficile capire cosa accadrà in seguito. Magari si continuerà su questi schemi ancora per un pezzo, in attesa di un nuovo ciclone che azzeri tutto.
Ciò che appare chiaro è che questo stato di cose - facile emersione delle nicchie, abbattimento di barriere all’entrata per ciò che concerne la produzione del disco, facilità di reperimento di qualsivoglia informazione etc. - sta favorendo, oltre la famigerata iperproduzione, anche un’ibridazione esasperata di attitudini, suoni, immaginari o, se volete, “generi”.

Blank Dogs Shitgaze, weird-garage o weirdo-punk, queste sono le definizione che girano on-line e su carta stampata per identificare un universo più o meno policromo di gruppi dai suoni e dalle attitudini affini. E benché improbabili e anche simpatiche, danno il senso di ciò che ci apprestiamo a trattare.
Il termine shitgaze è stato coniato per scherzo da Kevin DeBroux, bassista dei Psycheddlic Horseshit, sul myspace della band, salvo essere poi ripreso e sbandierato ai quattro venti da un articolo dell’Nme. E cosa identificherebbe? Beh, una sorta di genere che, pur mantenendo una liaison abbastanza solida con il rock - quello duro e puro, “quello suonato con gli strumenti” - segna un ulteriore degrado nella scala evolutiva. Trattasi di un suono che nasce male e si sviluppa peggio. Totalmente lo-fi, corroso e corrosivo, ma anche sghembo e svuotato da ogni referenza. C’è dello shoegaze, da cui parte del nome (alcuni di questi personaggi sono My Bloody Valentine-dipendenti) del pop neozelandese alla Clean, Terminals, Chills, Bats e rumori vari di chiara ascendenza garage. Pare invece meno forte il riferimento a ciò che di primo acchito sembrerebbe più ovvio, ossia all’indie/lo-fi anni 80 e 90 di band come Sebadoh, Pavement o Teenage Fanclub. Più forte invece il legame con il rozzume pop dei Guided By Voices e con il jingle jangle sbilenco dei grandi Vaselines.
Si ha impressione che nel caso dello shitgaze - anche shit-pop, shit-fi o no-fi - il suono nasca strutturalmente sporco, e non sporcato proditoriamente causa povertà dei mezzi produttivi o da una scelta “ideologica” consapevole, com’era in quei casi. Questi dementi suonano così perché solo così sanno suonare. Sono punk, nel senso stretto del termine, e a confermarlo in qualche modo i comportamenti di un sempre più sfatto Kevin DeBroux: Kevin DeBroux, who plays bass in Horseshit and is the only permanent member of Pink Reason, summed it up at Soho Lounge when he asked the crowd to buy his band's records after the show. If they didn't have money, he explained, they could feel free to pay with drugs. "It's like cutting out the middleman," he deadpanned.

Sarebbe quindi sbagliato etichettare, come ha fatto qualcuno, gli shitgazer come degli shoegazer mal riusciti, poiché a caratterizzare i primi è per l’appunto quest’attitudine punk ben delineata, sia nel suono che negli atteggiamenti. Quasi più Hüsker Dü che My Bloody Valentine.
E ancora, pare che alcuni riferiscano della strafottenza degli shitgazer rispetto ai dati di vendita, come confermerebbero anche alcuni commentatori esteri, ma su questo andrei piuttosto cauto, perché al solito mi sembrano solo dichiarazioni di facciata, come confermato da Tom Lax di Siltbreeze, che interrogato sul termine shitgaze risponde: "If it sells records, they can call it whatever they want".
Lo shitgaze è forse il “genere” più riconoscibile, circoscrivibile per certi versi e anche facilmente assimilabile, visto che alla fine della fiera i gruppi ad esso ascrivibili si esprimono con una sintassi chiaramente pop. Pop song, quindi, magari non proprio compiute, magari in acido, distorte, contorte e povere di arrangiamenti, ma sempre pop-song.

C’è poi la questione del weird-garage, weirdo-punk, o come diavolo vi va di chiamarlo, a cui si legano tutta una serie di ibridazioni che afferiscono ai suoni più vari e improbabili: dal classico proto-punk post-atomico alla Pere Ubu-Easter Monkeys-Debris-Chrome-Electric Eels, alla cold-wave più canzonettara (anche quella francese), alle elettronichette elementari stile early gurus of electronic music, passando per il synth-punk di San Francisco e la musica industriale inglese, fino ad arrivare al noise devoluto anni 90, stile Men’s Recovery Project e al garage-surf alla Mummies.

A legare shitgaze e weird-garage è un’attitudine scazzata, oltre che una prossimità di suoni e attitudini. Insomma, pur credendo nel proprio modo di approcciare la musica, questi ragazzi si prendono poco sul serio, come lasciano chiaramente intendere i Times New Viking: “…We take plagiarism serious. We take postmodernism serious, but we don't take ourselves serious. Comments are simply that, not statements”.
I riferimenti sono comunque parecchi e variegati, a dimostrare come la facilità di accesso all’informazione dell’internet era abbia influito non poco nel forgiare il suono delle band in oggetto.
E da qui la difficoltà di delimitare con precisione i limiti del “genere”, laddove in passato le nicchie nascevano in riferimento a estetiche e suoni ben circostanziati. Si pensi al garage anni 80 e 90 o alla musica industriale, giusto per fare due esempi.

Un punto fermo è sicuramente la discendenza dalle estetiche della devoluzione, dalla junk culture, dal neoismo e quant’altro. Anche qui, però, è da capire quanto di ciò sia stato metabolizzato coscientemente (probabilmente poco), e quanto invece sia arrivato per meccanismi virali in un rapporto di osmosi con il web (probabilmente molto), senza quindi una mediazione culturale che rimandasse a posizioni ideologicamente predefinite.
A supportare questo mondo così variopinto di musiche e situazioni, una serie di blog e siti sotterranei, che hanno il merito di informare costantemente sulle nuove uscite e sui gruppi in circolazione, e che, avulsi da una caratterizzazione territoriale, danno il senso di una community informatica, di un social network per l’appunto, più che di una comunità vera e propria.

Da citare l’ormai classico Art For Spastics, gestito dal mitico DJ Rick, che ha come propria “mission” quella di fornire un’ampia panoramica sul mondo del DIY, e in particolare su shitgaze e weirdismi vari. Costantemente aggiornato, offre inoltre file audio di concerti, podcast e quant’altro. Altro organo d’informazione irrinunciabile per i fanatici di suddette sonorità è Terminal Boredom, sito/blog dedicato alla marginal music nel senso più ampio del termine, per cui shitgaze e affini vi trovato ampia cittadinanza. E ancora il fondamentale Victim Of Time, ‘zine sul mondo dell’underground music di matrice punk e DIY, su cui aggiornarsi su dischi, eventi, concerti, e che offre un programma radio in streaming avente il fine di “dare voce ai gruppi più nascosti e sottovalutati in giro per il mondo”.
Ancora Shit-Fi.com che si occupa di musiche esoteriche in ambito DIY, punk e hardcore, Smashintransistors focalizzata soprattutto sulle uscite in 7”, per finire (ma ce ne sarebbero ancora altri…) con il blog dei Blank Dogs - misteriosa band newyorkese di cui parleremo tra breve - che oltre a permettere il download gratuito dei dischi del gruppo, fornisce informazioni sul mondo del DIY presente e passato.
C’è comunque da dire che, almeno i gruppi maggiori, sono approdati sulle pagine di riviste e siti importanti, come dimostra il succitato articolo dell’Nme e uno speciale pitchforkiano incentrato su Times New Viking, Psychedelic Horseshit, Pink Reason e Sapat. Anche se questi ultimi poco c'entrano nel discorso, pur essendo su Siltbreeze. Ed è proprio l’etichetta fondata da Tom Lax l’epicentro della questione, e non poteva essere altrimenti visto che i suoni a cui gli shitgazer si ispirano sono patrimonio storico di Siltbreeze, basta scorrere il catalogo - fatto tra gli altri di Terminals, Un, The Shadow Ring, Gate, Alastair Galbraith, Harry Pussy, Pin Group, A Handful Of Dust - per farsi un’idea.

Premettendo che la "scena" pare parecchio variegata nonché ampia e profonda, senza la benché minima pretesa di completezza, andiamo ora a conoscere un po’ di gruppi.

I derelitti del Midwest

Psychedelic Horseshit (Columbus, Ohio)

Quanto erano grandi gli Swell Maps? Molto, e cartina di tornasole ne sono i Psychedelic Horseshit, se i loro stop and go ritmici e quel fuzz lo-fi fuori fuoco ricordano in più di un’occasione la band di Nikki Sudden ed Epic Soundtrack. Ed è proprio sul blog del gruppo di Columbus che, più per scherzo che per altro, nacque la definizione shitgaze, a suggellare la loro passione per i My Bloody Valentine. Allora quello dei Psychedelic Horseshit è un suono caotico e sghembo, sicuramente debitore allo shoegaze e a certo post-punk ma, in ugual modo, memore della lezione garage-rock Nuggets-iana. Caotica, certo, ma non per questo poco commestibile, la loro musica, giacché è proprio l’approccio da garage-punk-band primitivista a donare all’impasto un’immediatezza epidermica, che va oltre l’intricato intreccio di sonorità talvolta dis-armoniche riscontrabili soprattutto nei frangenti più concitati. Il suono di “Magic Flowers Droned” (2007, Siltbreeze) è infatti più complesso di quello che potrebbe sembrare in apparenza, giacché l’ottundente patina lo-fi nasconde molte delle referenze sonore. Così non è impossibile incappare in sballate digressioni kraute (“Portals”) o noise deraglianti alla Dead C (“Crystals”).
Se cercate un disco che estrinsechi al meglio i canoni dello shitgaze, quello è “Magic Flowers Droned”.

Times New Viking (Columbus, Ohio)

Times New VikingChe lo shitgaze sia una questione di canzoni, oltre che di suoni, lo dimostrano i Times New Viking da Columbus, gemelli degeneri dei Psychedelic Horseshit e tra le massime espressioni dello shitgaze. Nei tre album sinora pubblicati - l’ottimo "Dig Yourself" (2005, Siltbreeze), il discreto “Present The Paisley Reich” (2007, Siltbreeze) e il meno convincente “Rip It Off” (2008, Matador) - i Times New Viking hanno infatti dimostrato una discreta abilità compositiva, oltre una buona capacità a giocare con le distorsioni e le ritmiche disarticolate. “Dig Yourself”, per dire, è un concentrato di canzoni con la c maiuscola che, non fosse per il consueto impasto lo-fi, potrebbero piacere anche agli indie-rocker più snob. Si definiscono dei “romantici nichilisti”, e il cantato quasi emo in alcuni passaggi starebbe a confermarlo, salvo essere poi annegato in una selva di feedback obnubilanti.
Le melodie comunque ci sono, in un suono che, come nel caso dei Psychedelic Horseshit, esprime un enciclopedismo sonoro invidiabile. Allora ci trovate (al solito) dello shoegazing, ossessività ritmiche alla Can, i Fall, gli Swell Maps, i 13 Floor Elevators e dulcis in fundo il consueto lo-fi pop neozelandese. Almeno “Dig Yourself” è da avere, senza dubbio alcuno.

Grave Blankets (Columbus, Ohio)

Un singolo (“Your Injuried Ways”) e uno split con i Touch-Me-Nots hanno già consentito ai Grave Blankets di diventare la next big thing della situazione. E in effetti nella loro musica sembra annidarsi il superamento dello shitgaze di di Psychedelic Horseshit e compagnia cantando. Perché il suono è più definito e stratificato, perché la produzione sembra recuperare in brillantezza pur non perdendo l’agreste carica lo-fi e perché i tre pezzi contenuti nel singolo sono davvero notevoli. I riferimenti sono i soliti, dall’indie-pop neozelandese, al post-punk degli Swell Maps passando per l’indie-pop degli Yo La Tengo. Dovessi scommettere su di un gruppo per il futuro, scommetterei su di loro.

Pink Reason (Green Bay, Wisconsin)

La desolazione post-punk di Joy Division e Bauhaus è nelle ballate ultradepresse dei Pink Reason, progetto solista di Kevin DeBroux dei Psychedelic Horseshit, e vero e proprio deus ex machina di questa comunità di musicisti. Il suono dei Pink Reason è quanto di più decadente e autoreferenziale possiate ascoltare tra i gruppi qui menzionati. Pare a volte di sentire dei Cure in versione lo-fi, perché questi inni autoflagellatori oscillano come rami mossi dal vento, ripiegandosi continuamente su se stessi, in pochi accordi di chitarra acustica, feedback elettrici appena accennati in sottofondo, la voce iper-depressa di DeBroux e poco altro.
“Cleaning The Mirror” (2007, Siltbreeze) è il diario pubblico di DeBroux, delle sue ossessioni e dei suoi problemi. E’ il documento di un periodo di vita in cui, drogato e homeless, vagava senza una meta precisa. Almeno tre i capolavori del disco: la psichedelica “Goodbye”, il salmo imploso di “Storming Heaven” e l’appena più ottimistica e andante “Up The Sleeve”, che richiama immaginari rurali.
In “Cleaning The Mirror” c’è quindi una desolazione resa ancor più vera dalla scarsità dei mezzi produttivi a disposizione di DeBroux. E’ un po’ come sentire un cantautore depresso da dietro una porta e percepirne lo sconforto più che il suono. E’ come ascoltare Jandek che ha deciso di cimentarsi con le melodie. O se state cercando una colonna sonora che accompagni la lettura di “La Strada” di Cormac McCarthy, allora “Cleaning The Mirror” fa al caso vostro.

Tv Ghost (Lafayette, Indiana)

Ossessivi, sporchi, sghembi, assolutamente punk sono i Tv Ghost. Forti di reminiscenze no wave, di singulti Electric Eels e di rock’n’ roll crampsiano, questi derelitti provenienti da Lafayette suonerebbero come un gruppo garage a tutto tondo, ovvero con i soliti due-tre accordi rimestati in tutte le salse. Suonerebbero si diceva, perché i nostri sono bravi a variare lo spartito con massicce dosi di funk bianco alla James Chance. Insomma, fossero usciti qualche hanno fa e con una produzione migliore, li avremmo imbarcati nel carrozzone del revival punk-funk insieme a Black Eyes, Go Go Go Airheart e compagnia cantando. La ripetizione quasi maniacale dei pattern ritmici e la secchezza del suono testimoniano l’influenza immensa di Fall e Swell Maps anche su questa generazione di musicisti, mentre la presenza di svisate di synth (di quarta mano), rende la miscela sottilmente psichedelica.
Due le uscite per loro, il 7” “Aìomic Rain” e l’album omonimo, entrambi su Die Stasi Records.
Un gruppo da tener d’occhio per il futuro.

Tyvek (Detroit, Michigan)

Non dissimili dai Tv Ghost sono i Tyvek. Anche qui la componente funk è piuttosto marcata, pur su un impianto di fondo fondamentalmente garage. Un incrocio tra il suono della motor city, gli Electric Eels (ancora) e gli Half Japanese, s’è detto in giro per il web, e in effetti la definizione calza non poco. Ma i Tyvek sono coloro ai quali sta meglio l’etichetta di weirdo-garage o weirdo-punk, poiché suonano scanzonati, cazzoni, e per nulla feroci, come la foggia del suono spingerebbe a supporre. “Fast Metabolism” (2007, What’s Your Rapture?) - contenente pezzi già presenti nell’Ep “Summer Burns” e altri sparsi qua e là - è un concentrato di garage-rock-song spastiche. E che siano tra i gruppi più devoluti in circolazione lo confermano anche i testi, assurdi, provocatori, che pongono questioni pseudo-esistenziali come: “Can you drive a Honda like I can drive a Honda?" Insomma i Tyvek sono realmente fuori di testa.

Hue Blanc's Joyless Ones (Algoma, Wisconsin)

Algoma è una piccola cittadina del Wisconsin che affaccia sul lago Michigan, dove a detta di alcuni non ci sarebbe nulla di meglio da fare che chiudersi in un garage e suonare a volumi esagerati. Ed è ciò che fanno gli Hue Blanc's Joyless Ones, che di quella realtà sono la massima espressione musicale del momento.
E cosa suonano? Garage-punk all’ennesima potenza, memore delle lezioni di rock’n’roll radioattivo di formazioni come Mirrors, Easter Monkeys, Scientists, Gibson Bros. ma anche Mummies e Teengenerate. Quello degli Hue Blanc's Joyless Ones è un suono disastrato e scazzato al contempo, anche discretamente campagnolo. Come se John Mellencamp suonasse garage-punk. Due chitarre, due batterie e una voce scorticata fanno delle canzoni di questo combo del Wisconsin dei piccoli classici di weird-garage ubriaco. Perché oltre a essere trascinanti e intense, quelle Hue Blanc's Joyless Ones sono canzoni con un buon appeal melodico. Da non lasciarsi sfuggire “Arriere Garde” - uscito l’anno passato su ss Records - soprattutto se vi piacciono i Black Lips, ma credete che siano ormai dei venduti. Anche perché una “The Ballad Of Soloth Sar” non tutti sono in grado di suonarla. Grandi.

Homostupids (Cleveland, Ohio)

Un nome una garanzia, una cittadina di provenienza, Cleveland, che è più di un marchio di fabbrica, insomma gli Homostupids sono esattamente come ve li immaginate, ovvero rozzi, devoluti e assolutamente lo-fi, per un suono che è frutto della pura imperizia tecnica.
Sparato a volumi parossistici, “The Intern” (2007, Parts Unknown Records) dura appena 17 minuti - due in più di “Group Sex”, classico dei Circe Jerks - per 15 tracce al fulmicotone. E infatti l’album fa sfoggio di una ferocia e di una velocità di esecuzione di chiara derivazione hardcore, suffragata dal taglio anthemico dei pezzi. Anche se le tracce sembrano tutte uguali e di anthem non se ne scorge nemmeno l’ombra. Insomma, fantasia zero. Simpatici, ma nulla più.

Black Orphan (Michigan)

Altra promessa sono i Black Orphan, misterioso combo proveniente (probabilmente) da qualche landa sperduta del Michigan, e fautore di un synth-punk oscuro e discretamente aggressivo. Quasi che il suono dei Blank Dogs (di cui parleremo a breve) stia iniziando a fare proseliti. Due le uscite per questi sciamannati: “Circuits” (2008, Hozac Records) - contenente le notevolissime “XX Spectrum” e “Ondine” che richiamano alla mente gli Units e gli Screamers - e “Video Kids” (2008, Hozac records). Se il buongiorno si vede dal mattino, allora ci sarà da divertirsi con i Black Ophan.

Mac Blackout (Chicago, Illinois)

Mac Blackout è un piccolo culto dell’underground americano. Scrive musica dal ’97, da quando pare frequentasse l’Herron School a Indianapolis. Successivamente, nel ’99, si spostò a Chicago dove incontrò Chris Fist e Brian Costello, con i quali diede vita ai Functional Blackouts, e successivamente ai Daily Void. La peculiarità del Mac Blackout solista sta nel modo in cui riesce a rendere coesi layer su cui sono disposti suoni eterogenei. Che siano suoni di clarinetti autocostruiti, di synth, di violini elettrificati o di batterie elettroniche. Quello di Mac Blackout è un synth-punk davvero peculiare, dove coesistono visioni ballardiane da apocalisse tecnocratica (alla Chrome/Suicide/Joy Division) con un’attitudine di fondo che è chiaramente beffarda e irriverente. E il contrasto è reso ancor più evidente dalla genuinità DIY della (non) produzione, che, palesando di volta in volta un aspetto piuttosto che l’altro, riesce a disorientare l’ascoltatore. Dietro l’angolo potrebbe esserci un pezzo alla Gary Numan o alla Devo, o qualcosa che riesca a far convivere entrambe le attitudini. Due i dischi - entrambi molto buoni - giunti al mio orecchio: “Mac Blackout” (2008, Dead beat Records) e “The Rabid Babies” (2008, Dead Beat Records)

Functional Blackouts (Chicago, Illinois)

I Functional Blackouts sono il primo gruppo di Mac Blackout in ordine di tempo dopo il passaggio da Indianapolis a Chicago. Anche se pare si siano già sciolti. Qui, questo pazzoide post-moderno abbandona l’attitudine dadaista dei suoi dischi in solo per sposare un approccio più diretto, che si esprime in un art-punk schizoide e destabilizzante. Il primo album, uscito sulla cult-label chicagoana Criminal IQ, si fregia dei complimenti di un entusiasta John Peel, che sembra gli riconoscesse lo spirito e la genuinità del punk settantasettino, mentre “The Severed Tongue Speaks For Everyone” (2006, Dead Beat Records) è un’altra collezione di epilettiche schegge punk, ancora contese tra ironia e nichilismo.

Daily Void (Chicago, Illinois)

Synth-wave con i dischi solisti, punk settantasettino con I Functional Blackouts, cosa manca? Un po’ di genuino garage-punk, ed è esattamente ciò che fanno i Daily Void, ultima incarnazione di Mac Blackout. "Identification Code: 5271-4984953784-06564" (2007, Dead Beat Records) è un concentrato di garage-song scorticate e sparate direttamente in the face senza alcun rispetto per chicchessia. Mac Blackout sa scrivere canzoni, non c’è dubbio, ed è questo che fa la differenza.
Per fan di Black Lips e Hue Blanc's Joyless Ones.

Dirty South

Electric Bunnies (Miami, Florida)

Non si sa molto degli Electric Bunnies se non che vengono dalla Florida e che hanno all’attivo tre uscite in Ep, due delle quali per Floridas Dying Records, etichetta specializzata in garage e affini, che può vantare a catalogo tra gli altri i notevoli Nothing People.
“Fantastic Metal Eye” (2008, Self Released) contiene quattro pezzi abbastanza diversi tra loro, per cui ci si può divertire con il bubblegum garage-pop di “Chewing Gum”, con le ritmiche a rotta di collo della graffiante “Love Radiation” o con la psichedelica da scantinato di “The Stranger”, che richiama i Black Lips più meditabondi. Non male, ma li aspettiamo alla prova sulla lunga distanza.

Jacuzzi Boys (Miami, Florida)

E' proprio il caso di dire sporco sud, perché anche gli Jacuzzi Boys, come gli Electric Bunnies, si esprimono secondo un lessico garage-punk abbastanza sghembo e deragliante. Anche qui solo singoli all’attivo, tre per la precisione, tra cui il notevole “Ghost Ghost” (2007, Self Released) che vanta almeno un piccolo capolavoro nella bellissima title track, che si trascina per due minuti e mezzo tra atmosfere morfiniche e stop and go ritmici senza soluzione di continuità.

Shit Eagle (Orlando, Florida)

Gli Shit Eagle hanno un solo singolo all’attivo - “Girl In School” - ma anche qui ci troviamo al cospetto di un suono incompromissorio. Ancora garage-punk tiratissimo e radioattivo, per tre pezzi al fulmicotone che non disdegnano deviazioni verso la psichedelica più delirante. E sempre la Floridas Dying Records a fungere da punto di riferimento da quelle parti.

California abrasiva

The Lamps (Los Angeles, California)

Hanno guadagnato una bella fetta di notorietà, anche solo per il fatto di incidere per la In The Red.
I Lamps sono una formazione di Los Angeles con all’attivo due album più un live. Qui siamo dalle parti di un punk-noise spastico e delirante, come se i Cromagnon fossero nati per sbaglio nel periodo post-punk …e si fossero chiamati Flipper… Sul sito della In The Red la loro musica viene definita “mongoloid frenzy music”, a sottolinearne l’urgenza espressiva ma anche una nemmeno troppo sottile carica negativa, che sa di paranoia e frustrazione. Due i dischi di inediti, dicevamo. Il primo - “St” (2005, In The Red) - è un assalto sonico all’arma bianca, mentre il secondo - “St” (2005, In The Red) - ha un approccio compositivo più variegato e avventuroso, non rinunciando però alla durezza del suono. Ecco, immaginateli come dei Cloackcleaner meno noiseggianti, ma con una punta di autoironia in più.

The Hospitals (San Francisco, California - Portland, Oregon)

Adam Stonehouse è l’uomo. Colui il quale, assieme a John Dwyer, ha traghettato il punk negli anni 00. Se oggi ha ancora senso (e dubito ne abbia) parlare di punk, allora molto è per merito degli Hospitals e dei Coachwhips. Ma che dire degli Hospitals? Be’, innanzitutto diciamo che sono stati inseriti in quest’articolo, perché molti dei gruppi qui menzionati devono loro qualcosa, almeno in termini di attitudine, se non di suoni. E' dagli Hospitals - formatisi a Portland e ora di stanza in quel di San Francisco - che probabilmente prende vita lo shitgaze, il weird-garage e quell’attitudine ultra-punk assolutamente strafottente e irriverente (più che nichilista) che sta caratterizzando gli umori di queste piccole comunità underground. Provate a guardarvi qualche video in giro per il web, e capirete cosa intendo.
Tre gli album pubblicati sinora. La band di Adam Stonehouse era partita come combo di garage ultrarumoristico in salsa lo-fi, e in quella veste aveva dato vita a un esordio al fulmicotone, ben doppiato dal successivo “I've Visited The Island Of Jocks and Jazz” - dove in verità già s’intravedevano segnali di cambiamento - e dall’Ep “Rich People”. In quei dischi gli Hospitals facevano dell’immediatezza, o meglio della non-mediazione, la loro ragion d’essere. Canzoni semplici e lineari, quindi, per quanto acide e dissonanti.
“Hayrdreyer Peace” - autoprodotto e uscito proprio quest’anno - è invece un disco invertebrato, senza capo né coda, come si sarebbe detto una volta. Totalmente storto e sbrindellato come peggio non si potrebbe; le canzoni (si fa per dire) avanzano a singhiozzo, costringendo il cervello di chi ascolta a continui stop and go, mentre i suoni, confusi e sfocati, deragliano ininterrottamente alla ricerca di un possibile appiglio melodico (che non arriva quasi mai…).
La forza del disco è proprio nell’affresco complessivo che (non) riesce a creare. Per intenderci, “Hairdryer Peace” è un mostruoso moloch di non-sense sonoro, di suoni minorati, di materiali sfasciati pescati in qualche discarica, di segni (per l’appunto) che significano qualcosa nel non significare nulla oltre se stessi. Un disco di soli significanti inutilmente affaccendati a dare una ragione al loro esistere. Dal latrato sfatto di Stonehouse, che cerca senza successo di elevarsi sulla muraglia di feedback degradati, alle ritmiche, tese a darsi una continuità che invece è quasi sempre negata.
Un gruppo grandissimo, e fondamentale per capire “l’evoluzione delle musiche della devoluzione“ in questi travagliati anni 00.

Sic Alps (San Francisco, California)

Ottimi anche i Sic Alps, band nata da una costola degli Hospitals, visto che la line-up del primo album comprendeva, tra gli altri, proprio Adam Stonehouse (poi rimpiazzato da Matt Hartman), oltre a Bianca Sparta delle Erase Errata. Potremmo definirli come una heavy-garage-psych-band, quasi dei Plastic Crimewave Sound ancor più derelitti e lo-fi, o dei Royal Trux intrappolati in una morfinica indolenza barettiana.
Ed è proprio “Pleasures And Treasures”, uscito nel 2005 su Animal Disguise, il vertice espressivo dei Sic Alps, nonostante le cose successive non suonino poi così male, anzi. Ma è qui che si esprime al meglio tutto lo sfascio sonoro di cui il gruppo è capace, e una vena ultraderelitta che supera a sinistra qualunque nichilismo punk settantasettino. Questi suonano veramente per scommessa.
Il bello è che spogliate dai feedback le canzoni dei Sic Alps potrebbero essere normali ballate folk-rock, magari un po’ acide, ma comunque dotate di una certa gradevolezza melodica.

Nothing People (Orland, California)

Un’altra grande band da quella terra foriera di malattie mentali e musiche storte qual è, e qual è sempre stata la California. I Nothing People sono tra i migliori gruppi di non-so-cosa della nuova generazione. Uno dei migliori gruppi e basta, pur con un solo album all’attivo. Ecco, a volerne definire i caratteri, diremmo che i Nothing People sono tra coloro che riescono a reinterpretare in chiave garage il post-punk oscuro dei primi anni 80, di band come Circle X o Bpeople. Ma sempre e comunque in un’ottica disastrata e poco propensa agli autocompiacimenti di molti dei revivalismi new wave di questi ultimi anni. “Anonymous”, uscito per la onnipresente ss Records, è uno dei dischi più interessanti di questo 2008 per come riesce a essere trasversale rispetto ai generi di riferimento. Così In “State Of Mine” c’è tutta la cattiveria degli Swans e dei Ritual Tension, mentre in “Boccioni’s Mothers” e “Suspicious” è come se i Fall jammassero con i Nervous Gender. Ma c’è da divertirsi anche con le melodie, in tracce come “Corner’s For” e “Omega Man”.
Consigliati senza possibilità di smentita.

Le irregolarità dell’Oregon

Meth Teeth (Portland Oregon)

I Meth Teeth sono una folk-garage-band in piena regola, ammesso ve ne possa essere una. Il riferimento più vicino è quello dei Sic Alps, anche se questa combriccola di Portland spinge ancor di più l’acceleratore sulle melodie e su jingle jangle derelitti, piuttosto che sull’impatto da garage lo-fi band, pur avendone le caratteristiche.
Quelle dei Meth Teeth sono canzoni sghembe già in partenza, e suonate in modo ancor più approssimativo. Il canto nasale di Mattey Hunter affonda nel dilettantismo più bieco, come una sorta di Jonathan Richman irritato a cui è stato rubato il lecca lecca. Un solo disco all’attivo per loro, “Untitled”, uscito quest’anno su Sweet Rot Records.

Eat Skull (Portland, Oregon)

Gli Eat Skull sono un’altra banda di dementi. Sembra non trovino niente di meglio da fare che ricoprire d’acido solforico quei tre/quattro accordi che per puro sbaglio sono in grado di eseguire.
Altro gruppo formatosi da una costola degli Hospitals, e precisamente grazie a Rob Enbom e Rod Meyer, gli Eat Skull hanno all’attivo un album e un paio di singoli su cassetta.
“Sick To Death” (2008, Siltbreeze) contiene 14 pezzi dal taglio anthemico, che, pur vestendosi di volta in volta in livree cangianti, mantengono un’impostazione di fondo unitaria, facente riferimento al suono dei Times New Viking principalmente. Shtigaze, quindi, ma con decise virate garagey, e con una spiccata attenzione al pop e alle melodie piacevoli, talvolta persino zuccherose (“Survivable Spaces”, “I Licked The Spider”, “Shredders Of Fry”, “Cartoon Beginning”). Si fanno però preferire i pezzi tirati punk-oriented come “Beach Brains”, “Dog Eeligion” e Puker Corpse, che risentono dell’influenza del gruppo madre.
Una citazione speciale per “Alarms”, in cui gli Eat Skull sono stati capaci di mischiare i Beach Boys con la merda secca. E non è poco.

Leper Print (Portland, Oregon)

Che gli Hospitals abbiano fatto scuola nella zona di Portland e dintorni (ma non solo) lo dimostrano questi Leper Print, altra banda di carneadi alle prese con una specie di garage-punk ossessivo e ottuso. “Coma” (2008, Die Stasi Records) contiene tre pezzi veloci e sfibranti in cui il suono manca di risonanza, come fosse soffocato in una barattolo di rame.

Little Claw (Portland, Oregon)

Little Claw Allora, alle tante indie-girl orfane delle Sleater Kinney che volessero sporcare un po’ i loro bei vestitini griffati (con tanto di odiosi occhialini in osso), consiglio di ascoltarsi le Little Claw, sorta di incrocio andato a male tra le Slits e gli Stooges. Ovviamente entrambi annegati in una fogna a cielo aperto. Le Little Claw sono quanto di meglio abbia offerto il rock al femminile nell’ultimo biennio, con tanti saluti alle fintissime Erase Errata. Con le Little Claw ci si sporca davvero, perché queste suonano del sudicissimo e ipnotico rock negativo, con tanto di spasmi garage, altro che no wave da sabato sera al locale indie-alternativo. Due gli album all’attivo. L’omonimo autoprodotto uscito nel 2005 è pieno di pezzi scomposti e tirati come le migliori cose delle Slits, mentre “Spit And Squalor Swallow The Snow” (2007, Ecstatic Peace) mostra un suono maggiormente stratificato. Da segnalare qui la bellissima ”Polar Bear”, acidissima nenia wave alla Lydia Lunch (con un briciolo di femminilità in più).
Insomma, gradevoli quanto un calcio nelle palle ricevuto da una scarpa con la punta di ferro. E quindi grandi.

Cani sciolti in giro per gli States

Blank Dogs (Brooklyn, New York)

I Blank Dogs sono tra i gruppi più misteriosi del lotto, e tra i migliori. Non nascondo che “On Two Sides” sia tra i miei album-feticcio tra quelli qui recensiti, e nel caso non l’abbiate ancora capito, vi consiglio di non lasciarvelo sfuggire per niente al mondo. Allora, iniziamo con dire che i Blank Dogs hanno un blog dove è possibile scaricarsi gratuitamente tutti i dischi sinora licenziati, magari a fronte di una piccola offerta. Blog che offre di tanto in tanto anche qualche recensione su dischi e compilation del passato. Cosa suonano i Blank Dogs? Dunque, la musica dei Blank Dogs è tra le più sfuggenti del lotto. Certo, alla fine della fiera si tratta di synth-wave/cold-wave, ma sono molte le referenze a essere chiamate in causa. Dal synth-punk di San Francisco, alla cold-wave francese (a tratti sembra di sentire i Clair Obscur più canzonettari), al post-punk inglese versante Cabaret Voltaire, senza contare l’immagine residentsiana di cui il gruppo è ammantato, anche perché non si conoscono le identità dei componenti. Ed è questa spiccata pluri-referenzalità a rendere spesso difficoltoso decodificarne la musica, il cui mood si mantiene su di un limite molto labile tra l’apocalittico e il beffardo. Certo è che a fare la differenza rispetto al resto della masnada è una capacità compositiva nettamente al di sopra delle media. I Blank Dogs scrivono grandi canzoni che, con una produzione migliore, (e con un cantante che canti da cristiano serio) sbancherebbero le classifiche indie-rock di mezzo mondo. Ma mi sa che a questi non frega niente.
Dovessi fare un nome che meglio identifichi il rock devoluto di questi ultimi tempi, farei sicuramente quello dei Blank Dogs (e dei Factums). Ad malora.

Factums (Seattle, Washington)

FactumsEccoli qui i Factums, senza ombra di dubbio la band devoluta per eccellenza di questi ultimi anni.
Nati da una costola degli ottimi Intelligence, in cui milita il batterista Matthew Ford, e dai Fruit Bats, in cui prestava servizio il chitarrista Dan Strack, i Factums offrono un’immagine di se stessi che è un cortocircuito tra visioni da età della pietra e preveggenze di un futuro dominato dalle macchine. Quasi un cyber-punk del paleolitico. E la musica rispecchia appieno le coordinate immaginifiche che i ragazzi si sono dati, riuscendo a fondere le freakerie primitiviste di band come Smegma e Cromagnon con la musica post-industriale e il noise moderno, tra synth che sanno di kraut-rock, elettronichette spastiche, e montaggi post-industriali alla Monte Cazazza. Allora vengono da citare Residents, Chrome, Cabaret Voltaire, Grotus, per un suono che, in virtù di questa peculiare mescolanza di forme espressive, riesce a risultare fuori dal tempo, e quindi difficilmente inquadrabile in un preciso periodo storico. I Factums potrebbero essere una garage-band dei primi anni Settanta, un combo post-indutriale di fine anni 80, o magari una creatura art-rock degli anni 90, qualcosa a metà tra gli Ubzub e i Men’s Recovery Project.
Anzi, a giudicare dall’ultimo album sinora pubblicato, il buonissimo “A Primitive Future Soundtrack” (2008, Assophon), viene da pensare alle musiche pionieristiche di qualche misconosciuto sperimentatore elettronico tipo early gurus of electronic music. Perché soprattutto qui viene fuori la portata post-strutturalista della musica dei Factums; una sorta di officina a cielo aperto in cui composizione ed esecuzione appaiono momenti assolutamente inscindibili, in cui il suono sembra essere frutto di un flusso di coscienza spontaneo da "buona la prima".
Questa è musica per scoppiati, fatta da personaggi il cui cervello deve aver subito uno stop improvviso causa assunzione di sostanze psicotrope. "Alien Native" (2007, Siltbreeze), ad esempio, è un disco drogato, marcio, assolutamente derelitto, nonostante qui la band cerchi di esprimersi con una sintassi maggiormente intelligibile, ovvero attraverso canzoni fatte e finite. Perché il senso di caducità e di claustrofobia evocato da pezzi come “The Disguise” o “Take Drugs” rimanda direttamente al lettino dell’analista, mentre nei frangenti più garage (“Bomber”, “Angel Twitch”, “Drip”), viene voglia di mettere su i Pere Ubu per tornare alla normalità…
I successivi “Spells And Charms” e “The Sistrum” segnano una transizione tra l’immediatezza garage di “Alien Native” e l’approccio sperimentale di “A Primitive Future Soundtrack”. Benché meno incisivi dei succitati, riescono a mostrare una galleria di atrocità sonore che è davvero un bel sentire.
I Factums sono tra i gruppi più grandi di questi ultimi 4/5 anni. Ecco, non nascondo che l’articolo è stato scritto soprattutto per parlarvi di loro.

Home Blitz (Princeton, New Jersey)

Sulla medesime coordinate di Black Lips e Hue Blanc’s Joyless Ones sono gli Home Blitz, divertente combo garage da Princeton. “Home Blitz” (2007, Gulcher Records) è una raccolta delle prime uscite del gruppo e contiene 12 pezzi alla Jonathan Richman, che è poi ciò che avrebbero dovuto fare i Weezer, fossero stati un gruppo “serio”. Pare sia in uscita su Parts Unknown un loro Ep dal titolo “Weird Wings”.

Uno sguardo fuori dagli States

Pink Noise (Toronto, Canada)

Altra band piuttosto promettente sono i Pink Noise da Toronto, il cui “Dream Code” è tra le cose migliori uscite quest’anno su ss Records. Stop and go alla Fall, residui di rumore disarticolato alla Swell Maps, e un synth aggressivo che richiama alla mente i Suicide del primo album. Naturalmente il tutto annegato nella solita marea lo-fi che rende il suono parecchio cupo. Altro gruppo da seguire con attenzione.

Diet Cola (Ontario, Canada)

Un solo Ep all’attivo per i Diet Cola, fautori di un synth-garage aggressivo e scorticato alla Primitive Calculators, incalzato dal sacro spirito rock’n’roll dei Cramps. L’Ep omonimo sforna quattro pezzi tiratissimi che promettono bene per il primo full length.

Los Llamarada (Monterrey, Mexico)

ss Records ancora protagonista per l’uscita del primo disco ufficiale dei Los Llamarada, che, a quanto si dice in giro, pare sia la migliore garage-band messicana del momento (…). E in effetti “Exploding Now” è un buon album di garage psichedelico, che chiama anch’esso in causa i Black Lips. Anzi, diremmo art-garage, perché i Los Llamarada non disdegnano inserire nei loro pezzi schegge rumoristiche che rendono il suono maggiormente stratificato.

Cheveu (Parigi, Francia)

I più inseriscono gli Cheveu nel novero delle band ascrivibili al weirdo-garage, e lo facciamo anche qui. Il gruppo francese, però, agisce a un altro livello, che è poi quello dei Volt, ad esempio, perché il loro è un synth-punk discretamente prodotto, che ha ben poco di devoluto. Questi scrivono canzoni vere, e le sanno scrivere. Il loro album d’esordio, uscito quest’anno su ss Records, è un gioiellino di synth-punk aggressivo e minimale farcito da schitarrate deraglianti ai limiti del noise, anche se viene da dire che il riferimento più vicino è proprio quello dei connazionali Volt.

Discografia

Black Orphan - Circuits Ep (2008, Ufo Dictator Records)

Blank Dogs
- On Two Sides (2008, Fuck It Tapes)

Cheaveu – St (2008, s-s Records)

Daily Void – Identification Code (2007, Dead Beat Records)

Eat Skull - (2008, Siltbreeze)

Factums - Alien Native (2007, Siltbreeze)

Functional Blackouts - The Severed Tongue Speaks for Everyone (2006, Dead Beat Records)

Grave Blankets - Your Injured Ways Ep (2007, Self released)

Home Blitz – St Compilation (2007, Gulcher Records)

Hue Blanc’s Joyless Ones - Arriere Garde (2007, s-s Records)

Little Claw - Spit And Squalor Swallow The Snow (2007, Ecstatic Peace)

Los Llamarada - The Exploding Now (2007, s-s Records)

Mac Blackout - St (2008, Dead Beat Records)

Nothing People - Anonymous (2008, s-s Records)

Pink Noise - Dream Code (2008, Sacred Bones)

Pink Reason - Cleaning The Mirror (2007, Siltbreeze)

Psychedelic Horseshit - Magic Flower Droned (2007, Siltbreeze)

Shit Eagle - Girls In School Ep(2008, Floridas Dying)

Times New Viking - Dig Yourself (2005, Siltbreeze)

TV Ghost - St (2008, die Stasi)
Pietra miliare
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