Artista multiforme, sfuggente, Alexander Tucker è un cantautore atipico, un personaggio difficile da collocare in un ambito stilistico inequivocabile. Anche le informazioni sul suo passato artistico a volte risultano incomplete o imprecise, alcune biografie accennano al suo ruolo nei Grumbling Fur come un fatto occasionale, contraddicendo la scritta che campeggia sulla copertina del nuovo album “Don’t Look Away”: "A. T. of Grumbling Fur". Sul web primeggiano immagini del musicista con una folta barba e dei lunghi capelli simili a quelli di un novello druido, ben diverso dall’occhialuto, sbarbato, con capelli a caschetto, che ho incontrato nella recente tournée di presentazione dell'album.
Vero è che una delle peculiarità del musicista inglese è una costante evoluzione stilistica, che contraddice l’apparente staticità del suo stile, un ossimoro che lo rende ancor più misterioso e inafferrabile nel suo continuo mutare. Quando nel 2011 Alexander Tucker ha inaugurato il contratto con la Thrill Jockey con l’album “Dorwytch”, le ambizioni e gli intenti dell’annunciata trilogia discografica non erano facilmente prevedibili. Il musicista di Kent inseguiva una rara chimera: quella di affondare le mani nel romanticismo e nella melodia senza sporcarsi né le mani né lo spirito. Le contaminazioni con la musica sperimentale, il drone-metal e l’elettronica hanno radicato ancor di più lo stile fingerpicking alla John Fahey, permettendo infine all’autore di affrontare il suo album più raffinato con la stessa potenza visionaria delle sue pagine più avventurose e originali.
E’ una musica intelligente e intelligibile, quella del nuovo disco di Alexander Tucker, le canzoni sono mutaforma, ricche di sfumature espressive, gli elementi-base sono una chitarra, un basso e la voce, su di essi il musicista mette a fermentare suggestioni kraut, prog, pop, folk, ambient, noise, hard-rock ed elettroniche, cesellando il suo artefatto più maturo e sfaccettato. Le canzoni sono melodicamente le più dirette e limpide mai messe in sesto dall’autore, tra accordi acustici di rara bellezza (“Sisters And Me”), estensioni armoniche che accarezzano il chamber-folk della Penguin Cafè Orchestra (“Citadel”), intrecci di basso, chitarra, piano e voci dal fascino spettrale (“Boys Names”), nonché eleganti accordi di fingerpicking (“Ghost On The Ledge”).
Nella coinvolgente “Visiting Again”, archi, chitarre dalle sonorità lunari e la voce baritonale di Tucker esaltano la melodia più adorabile e scorrevole dell’album, creando un’oasi di strana serenità armonica, la quale viceversa nasconde una sequenza di dissonanze e controcanti, ed è una delle scelte creative più ricorrenti dell’album, che evoca le geniali intuizioni pop della seconda facciata di “Before And After Science” di Brian Eno (“A To Z”).
C‘è un altro filo conduttore in “Don’t Look Away”, espresso in un trittico di brani che tralascia il formato-canzone per abbracciare altri lidi, tra questi “Yesterday’s Honey” è il più delicato e semplice: pochi accordi di chitarra ripetuti all’infinito con voci catturate in una trance quasi mistica.
Più arcana "ISHUONAWAYISHANAWA": un'enigmatica digressione di voci, droni e intrusioni orchestrali finemente psichedeliche, mentre “Gloops Void (Give It Up)” mette in discussione le basi del progetto, confondendo, con sampler, loop, drone music e distorsioni, la minacciosa quiete dell’album. Non è un caso che Tucker nelle sue esibizioni live parta proprio da questa curiosa pagina di stregoneria elettronica, per modificare e reinventare in chiave noise-elettonica l’atmosfera delle canzoni dell’album (fatta eccezione per un paio di episodi come “Visiting Again”).
Quello che appare chiaro, è che Tucker è un artista in continua evoluzione, il look da folksinger capelluto, le esternazioni con i Jackie-O Motherfucker e i Sunn O))), l’esperienza condivisa a nome Grumbling Fur sono parte di un processo artistico più ricco e complesso, a volte oscuro. Ed è in quest’ottica che va letto “Don’t Look Away”: l’album forse più melodicamente pop dell’artista inglese, ma anche il più mutevole e sfuggente tra i suoi dischi.
Il fascino siderale, astrale e arcano dell’affascinante matrimonio tra armonia e dissonanza di queste dodici canzoni è non solo un’abile intuizione creativa, ma anche una delle poche che necessita un ascolto doveroso, per chiunque voglia cogliere il fluire creativo della musica moderna. “Don’t Look Away”: non distogliete lo sguardo.
05/09/2018