Con l'omogeneità, oltre al consolidato fascino realizzativo di Beam si accompagnano anche aspetti meno convincenti, già riscontrati nella prova principale, che qui semplicemente si ripropongono con una veste leggermente diversa. Affiorano quindi con prepotenza le straordinarie abilità arrangiative dell'autore, capace di muoversi tra più esplicite aperture cameristiche (lo sfavillante tappeto d'archi di “Waves Of Galveston”, gli scherzi di pianoforte e i bordoni vocali di una più peculiare “Milkweed”), pregevoli confezioni alt-country (la ruspante “Last Of Your Rock'n'Roll Heroes”) e ballate soulful, in linea con le aperture romantiche di “Ghost On Ghost” (“Talking To Fog”, con tanto di ampio climax finale). Il tutto però avviene a scapito di una scrittura che continua a essere seduta su moduli abbondantemente utilizzati dal musicista, su un carrello di melodie che mette in risalto la commovente grana emozionale della sua penna (“What Hurts Worse” l'esempio-principe, sin dal titolo), ma non aggiunge molto di più a una calligrafia piuttosto statica, per quanto di classe.
“Weed Garden” è insomma un dignitoso corollario a una stagione di grande fervore creativo, un piccolo cofanetto di brani che attrarrà gli inossidabili fan di una delle maggiori menti folk degli ultimi venti anni, che non schiude però nuove porte. Resta un piccolo contentino, per saziare gli appetiti in attesa di una nuova ridefinizione.
(17/09/2018)