Non sembra vero che sinora, in oltre trentacinque anni di appassionata ricerca attorno alle fenomenologie del suono, la rinomata etichetta Touch non abbia mai incluso artisti italiani nel suo catalogo principale. Va pur detto che tempo fa due tra i nostri validi esponenti della ricerca sul field recording, Enrico Coniglio e Pietro Riparbelli, avevano trovato collocazione nella serie digital only "Spire", ma a quanto pare nessuno ha rappresentato la nostra bandiera nella più lunga schiera di pubblicazioni marchiate con la sigla “TO:”.
Avendo alle spalle collaborazioni con Christian Fennesz (“AirEffect”, 2015), Frank Bretschneider, Murcof e Senking, il duo Ozmotic (Simone Bosco e Riccardo Giovinetto) apre dunque la strada alla sperimentazione elettronica nostrana con il suo terzo album, “Elusive Balance”: un titolo che non soltanto ne rivela lo spunto concettuale, ma anche il suo stesso modus operandi.
Il tentativo dei due sound artist, nel corso dell’intero processo, è infatti quello di conciliare gli opposti – tipicamente, sorgenti acustiche ed elettroniche – quasi forzarli entro una struttura compositiva per essi studiata e approntata. Ma laddove taluni cercherebbero un contrasto violento e scientemente insanabile, Ozmotic opera una giustapposizione cauta e interstiziale, basata su un campionario limitato di elementi posti alternamente in dialogo tra loro.
Si realizza così un’alchimia gentile che sin dalle prime battute, tra costellazioni di rapidi barlumi glitch e tappeti di synth quasi impalpabili, non può che confrontarsi con i design raffinati di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, ma che in più frangenti accoglie ulteriori suggestioni di nobile ascendenza: i vellutati fraseggi del sax soprano ci avvicinano infatti al crossover di certi progetti Ecm (tra cui Food, con la partecipazione dello stesso Fennesz), mentre in “Hum” si manifesta con crescente intensità un kyrie polifonico d’epoca rinascimentale – “Whisper” riprenderà solo en passant le enfatiche armonie corali.
Le rarefatte ambientazioni offrono qualche concessione a echi new age (“Pulsing”), sebbene al netto di ingenue divagazioni cosmiche e sempre nell’ambito di un soundscaping accuratamente circoscritto. Solo “Being” presenta pattern ritmici più sostenuti e frequenze acutissime, spostando l’orizzonte semantico da Carsten Nicolai al Mika Vainio a firma Ø.
La qualità di questo “nuovo debutto” sulla label londinese è da individuarsi, in definitiva, nel controllo esercitato da Bosco e Giovinetto su ciascuna componente in relazione alle altre, rendendole tutte parimenti necessari al raggiungimento di quell’equilibrio sfuggente che lo ha ispirato in prima istanza. Ozmotic dà forma e sostanza a un “universo elegante” dove micro e macro sono idealmente ricondotti alla medesima essenza materica, scoprendosi complementari e indissolubili contro ogni aspettativa.
12/06/2018