Rafael Anton Irisarri ci aveva già avvisati nel 2017: gli anni senza vergogna non potevano che essere nefasti per il futuro del genere umano. "The Shameless Years" è stato un imponente allarme, un inascoltato grido di Cassandra a cui non poteva che seguire la "mezzanotte", intesa come fine della nostra epoca. Il nuovo "Midnight Colours" prende il testimone dal precedente Lp per portarlo fino in fondo, a due minuti dal "Midnight Clock o Doomsday Clock", quando l’orologio che scandisce il tempo che ci è stato concesso è a due minuti dalla mezzanotte, per cercare di descriverne i colori e le atmosfere, dallo scoccare inesorabile delle lancette dell’orologio ai ricordi dei possibili bivi che avrebbero potuto salvarci ma nei quali la strada intrapresa è stata sempre quella sbagliata (Irisarri si riferisce agli accordi sul clima di Parigi del 2015).
"Midnight Colours" non poteva che essere la colonna sonora degli ultimi istanti dell'umanità, il requiem elettronico che preannuncia gli ultimi respiri; il suono è quindi deliberatamente obsoleto e degradato, straripante di fruscii da vecchio vinile che ricordano quanto di vecchio e distruttivo ci sia nel "nuovo" che avanza. Irisarri ricerca questo effetto di obsoleta registrazione di bassa qualità, che ricrei la stessa sensazione che si dovrebbe avere guardando un vecchio giornale sgualcito degli anni 50 che parla della bomba H e che “ci ricorda di come siamo tutti condannati".
La poetica di Irisarri si mantiene costantemente tra imponenza e depressione, tra malinconia e potenza con aspetti cinematici, tra l’ambient dilatato e una continua attenzione per i dettagli, in un turbinio di emozioni contrastanti che sono la sua principale cifra stilistica. In "Midnight Colours" si accentua l’aspetto pulsante, come a sottolineare il tempo che inflessibilmente va avanti, come se Irisarri contasse gli ultimi secondi alla mezzanotte. "The Clock" è il brano più tipicamente irisarriano, con un drone percussivo che ostinatamente si fa spazio su uno straziante tappeto di synth dai tratti persino sinfonici, che rimandano a buona parte della sua precedente discografia.
L’orologio avanza e il sipario inizia a cadere con “Curtain Falling”, secondo brano in cui il drone è una semplice nota ripetuta che dona ritmo e impulso a synth ben più eterei e consolatori, simili a un’elegia funebre. Ma l’aspetto funereo non è l’unico, c’è anche il rimpianto per quello che non è mai stato fatto nonostante i vari segni premonitori; "Oh Paris, We Are Fucked" si riferisce agli accordi di Parigi sul clima, fin troppo teneri verso le grandi potenze, per giunta sbeffeggiati dall’elezione di Trump che definisce gli studi scientifici come semplici "teorie". La rabbia lascia lo spazio allo sconforto con fuligginosi venti elettronici simili al "Cruel Optimism" di Lawrence English.
Con “Every Scene Fades” si passa dallo sconforto all’ansia, se non addirittura al panico. Stavolta sono le percussioni industrial, simili al lento martellare di una fabbrica, a incidere su echi di synth e archi. La breve "Two And A Half Minutes" si culla tra pulsazioni dub in stile Loscil, mentre "Drifting" e "A Ruptured Tranquility" chiudono con un lugubre viaggio in un’oscurità che diventa sempre più assoluta. Per Irisarri è il nero il colore principale della mezzanotte, ma non tanto oscuro da non poter intravedere - nonostante tutto - barlumi di speranza, forse proprio grazie all’amore incondizionato per la propria arte, testimonianza di una diversità orgogliosa che è la vera speranza per il futuro, il primo tassello del successivo "Sirimiri" (2018).
19/04/2018