L'immagine grigia di un paesaggio naturale arido e selvaggio in miniatura, il proprio nome e il titolo dell'album in rosso e nero a dominare una copertina che contiene nella sua parte anteriore i titoli dei nuovi sei brani; inizia così il ritorno da solista del compositore americano Rafael Anton Irisarri dopo una lunga serie di progetti e collaborazioni.
Dopo le tristi storie di tragedie figlie della cupidigia umana di "The Unintentional Sea" (2013) e gli imponenti muri sonori di "A Fragile Geography" (2015), Irisarri continua a volgere sguardo e pensieri verso la contemporaneità, descrivendola in modo tanto potente da essere riuscito a creare - nell'arco di questi anni - una nuova grammatica ambient malinconica ma non deprimente, allo stesso tempo imponente e minimale, quasi fotografica nella sua capacità di ritrarre scenari e luoghi. Queste sue caratteristiche, che lo differenziano dalla gran parte dei protagonisti dell'elettronica di ricerca contemporanea, lo candidano conseguentemente a essere uno dei più sinceri testimoni dei nostri anni.
Gli anni senza vergogna sono il nuovo oggetto di osservazione di Irisarri, vissuti in prima persona da spettatore impotente che ha come sola arma la sua capacità comunicativa. Gli anni di un rinascente razzismo, del capitalismo senza freni, dell'odio dell'uomo verso l'uomo, dell'estremismo religioso e della guerre senza fine. Ma sono anche gli anni del trumpismo che, agli occhi di Irisarri, diventa un sorta di involontario simbolo della contemporaneità, di illusioni di muri salvifici, di improbabili ritorni a presunte identità "etniche" o "razziali", di egoismi senza limiti che prevaricano ogni senso di comunità.
Irisarri trova due strade per manifestare il proprio essere "altro" rispetto all'esistente, diventando esso stesso testimonianza di fiera diversità; fa produrre "Shameless Years" a un'etichetta messicana - la Umor Rex - nazione continuamente vilipesa nella recente campagna elettorale americana, e registra gli ultimi due brani con la collaborazione dell'artista iraniano Siavash Amini, cittadino di uno stato ritenuto "canaglia" dalla maggioranza dell'opinione pubblica.
Se l'affresco della società americana appare impietoso e degradante, Irisarri sembra darci speranza; ma le speranze, come ci ha insegnato George Orwell nel suo capolavoro "1984", non possono nascere dall'alto - luogo di volgare ricchezza che alimenta un narcisismo illimitato - bensì dal basso. Orwell diceva dai "prolet", Irisarri intende dalle popolazioni povere continuamente offese e discriminate.
Come in "A Fragile Geography" è la tragica imponenza dei synth a colpire l'ascoltatore, una magniloquenza che trova in sprazzi di melodia la sua chiave emotiva ("Indefinite Fields"). Le gelide distorsioni di "RH Negative" sconquassano ogni sicurezza e descrivono, come vere pennellate, i sentimenti di chi ha coscienza di vivere in questi "anni senza vergogna"; le percussioni entrano a far parte della strumentazione di Irisarri che qui raggiunge uno dei momenti più commoventi della sua carriera.
"Sky Burial" accentua l'elemento melodico dilatando al massimo il suono della chitarra manipolata. "Bastion" gioca ancora la carta dell'imponenza schulziana ma stavolta con accenti più austeri e tipici della precedente discografia di Irisarri. I due brani finali - "Karma Krama" e "The Faithless" - nati dalla collaborazione col musicista iraniano Siavash Amini, sono ben più oscuri, figli di una poetica dark-ambient che lascia ben poco spazio a spiragli di luce. Entrambi i titoli sembrerebbero rimandare a quella componente religiosa che potrebbe diventare il vero brodo primordiale che, arricchito da rigurgiti razzisti e da paure del diverso, potrebbe innescare la scintilla di un moderno conflitto. I lunghi synth di "The Faithless" (tredici minuti) con la loro stasi apparente, quel clima quasi crepuscolare che sembra esplodere da un momento all'altro senza mai deflagrare, appaiono come emblematici sia di questa fase intermedia della nostra contemporaneità, sia della poetica potenza espressiva di cui è capace Irisarri.
08/09/2017