Uno dei segreti della poetica di Rafael Anton Irisarri sta da sempre nel suo muoversi sul filo, ben più labile di quanto possa sembrare, che separa impressione ed espressione, scovando le modalità più efficaci per squarciarlo. La sua principale specialità è appunto dare forma a impressioni tradotte in suono da una prospettiva squisitamente soggettiva, personale, carica di sentimenti anche contrastanti, espressionista appunto. Due anni dopo la cartolina di “The Unintentional Sea” e a qualche mese dalla parentesi più isolazionista di “Will Her Heart Burn Anymore”, Irisarri completa il percorso “distaccando” la sua poetica dall'oggetto singolo e giungendo (da altre strade) sui binari dell'indagine interiore già imboccati dagli amici Lawrence English e John Chantler.
L'artista americano muove dunque verso un sound che fa dell'impatto (sia fisico che emotivo) una prerogativa-chiave, sia nella generazione che nella fruizione. In scia a tematiche come la rivolta, la controversia e lo smarrimento già propri di “Wilderness Of Mirrors”, “A Fragile Geography” racconta un'America dominata dalla dicotomia meraviglia-dramma, a livello politico, sociale, territoriale e, ancor prima, geografico. Il tutto mantenendo inalterata la convivenza tra impressione (ora non più solo paesaggista e concreta ma anche e soprattutto spirituale e sociale) ed espressione (come metodo espositivo e compositivo), narrando delle contraddizioni di una Terra, ma anche le “rivolte umorali” a una serie di situazioni difficili vissute in prima persona.
L'introduzione languida per piano e flussi di “Displacement” funge da ponte con il passato recente (comunque evoluto ma mai rinnegato) e da separé tra l'attitudine (ancora) organica e pittoresca di Irisarri e il trascendentalismo emotivo di English. Il manifesto sonoro del disco arriva però subito dopo: “Reprisal” introduce alla magniloquenza e al massimalismo drone che costituisce il nuovo traguardo estetico dell'artista e rappresenta niente meno che uno dei pezzi più intensi della sua carriera. L'incontro fra presente e passato è celebrato nella commovente “Persistence” da una melodia dimessa “squarciata” da droni vibranti. Un acquarello sporcato che costituisce vera e tangibile sostanza sentimentale.
Il vero piatto forte della raccolta è però “Empire Systems”, cuore pulsante della miriade di stimoli racchiusa nell'album, autentico capolavoro da affiancare a “Graceless Hunter” di Lawrence English e a “Black Refraction” di Tim Hecker in un glossario su questa maniera comune di intendere la musica atmosferica, che ne rappresenta anche l'odierno avamposto. Il finale di “Secretly Whishing For Rain” rientra per un attimo nei sentieri dimessi di “Daydreaming” riconvertendoli in una sorta di requiem per la contemporaneità, traduzione in musica dell'eloquente (e altrettanto splendida) copertina. Vi si oppone a posteriori la breve “Hiatus”, squarcio di luce sintetica e possibile risposta alla domanda indiretta di John Chantler: there's “Still Light, Outside”.
Concentrato di quanto espresso è infine “Unsaid”, ventisei minuti condensati su Ep e “regalati” ad affiancare e completare il ritratto dell'album. Al loro interno tutte le sensazioni da cui è nato il più sofferto e personale disco di Irisarri sembrano compattarsi in un monologo fatto di ombre, droni inquieti, armonie stratificate e note disturbate. Un monolite che ripiega del tutto verso l'interno, narrando quegli scenari che in precedenza si rapportavano ancora con l'esterno nella forma della causalità, che qui divengono differenti percorsi di un labirinto interiore. Che sia questa o meno la strada espressiva del futuro ancora non lo sappiamo, per il momento basti dire di trovarsi di fronte a un capolavoro che ambisce con forza al titolo di disco dell'anno.
28/10/2015