In “appena” dieci anni di attività compositiva, perlomeno quella coronata dalla pubblicazione di un supporto fisico, il chitarrista Paolo Spaccamonti ha collezionato una quantità di esperienze collaborative che un artista metterebbe forse a segno nell'arco di un’intera carriera. Talmente variegate da rendere superflua perfino l’allusione all’arricchimento di cui ha giovato sia il Nostro sia chi lo ha affiancato. In ordine sparso: Damo Suzuki, Stefano Pilia, Ben Chasny, Ramon Moro, Mombu, Paul Beauchamp, Julia Kent e Riccardo Sinigallia sono solo alcuni dei nomi incrociati lungo il percorso. E Jochen Arbeit, chitarrista nei Die Haut, prima, negli Einstürzende Neubauten e negli Automat, poi, è semplicemente l’ultimo ma non ultimo.
Presenza non occasionale, invece, nelle uscite firmate da Spaccamonti, è il cinema: la settima arte ne pervade le strutture come una musa dispotica, che tanto dà e tanto prende anche a chi col chitarrista condivide una tranche del viaggio. E Arbeit e “CLN”, prodotto da Boring Machines e Escape From Today, non escono dal novero. La storia vuole che il Neubauten si trovasse in un bar a Torino proprio mentre nel locale risuonavano le note del brumoso “Rumors”. Jochen avrebbe talmente apprezzato da decidere di incontrare Paolo in studio qualche mese dopo. Così, “senza schemi”, come recita la press-release, i due chitarristi hanno dato vita a “CLN”, album che mutua il titolo dalla centrale piazza Comitato di Liberazione nazionale di Torino, nella finzione sinistro affaccio dal teatro del primo omicidio in “Profondo rosso” di Dario Argento, nella realtà avamposto della Gestapo durante l’occupazione nazista.
Così, dall’inquietante simmetria con cui si stagliano in piazza CLN le due fontane alle spalle delle chiese gemelle di San Carlo e Santa Cristina, sgorgano non solo le acque che simboleggiano i fiumi Po e Dora Riparia, ma anche i flussi magmatici e gli arpeggi di “I”, prologo in salsa western-metafisico del dialogo a dodici corde tra Spaccamonti e Arbeit. In una dualità sonora che insieme inebria e tramortisce, si aggrovigliano e respingono in “II” le distorsioni droniche reiterate dal Neubauten e le scenografie shoegaze dipinte dal musicista torinese, scalzate dall'arrivo di "III" e delle sue oscure pulsazioni industrial, che accompagnano un crescendo di stridori metallici soffocato da una coda di morbidi accordi in tremolo.
La tensione aumenta percettibilmente in “IV”, lunga esecuzione dalle fosche tinte post-rock in cui a dettare legge è la linea di chitarra-travestita-da-basso perpetuata da Spaccamonti. Echeggianti bordoni elettrici avvolgono il blues mortifero di “V”, che schiude lentamente i cancelli alla psichedelia magnetizzante, in odor di Charalambides, di “VI”. Ruvide e telegrafiche disarmonie popolano, infine, la radura ambient-noise di “VII” e fanno calare il sipario su questo impressionante confronto tra due insaziabili vessatori di corde in acciaio.
18/05/2018