Preparato dall'uscita dello scorso anno del disco solista di Adrianne Lenker, da cui questo "U.F.O.F." mutua un paio di brani, il nuovo dei Big Thief si colloca ormai, anche solo a pochi giorni dalla sua uscita, come "stato dell'arte" dell'Americana contemporaneo. L'esperienza scarnificata del già riuscito "abysskiss" si trasferisce nell'opera più Kozelek-iana della band, quasi del tutto scevra dell'"alt-Americana" alla Wilco degli esordi (se non per la disimpegnata confidenzialità, molto Tweedy-iana, di "Century" e per l'avventuroso chooglin' di "Strange") e più improntata a ripercorrere le gesta del bardo dell'Ohio - dai disperati, funerei riverberi elettroacustici in stile Red House Painters di "Open Desert" e "Contact" alle abbacinanti aperture Midwest, in stile "Ghosts Of The Great Highway", di "Cattails". Fino ad arrivare a brani propriamente slowcore, come nei Low di "Jenni".
Su tutto svetta l'interpretazione e la scrittura di Adrianne, vera frontwoman atipica con questa voce esile, ma incredibilmente versatile: su ottave mascoline nel sussurro di "Betsy", o in un leggero vibrato nel country di "Orange", è soprattutto la corrispettiva versatilità emotiva della sua espressività vocale a renderla una delle interpreti più caratterizzanti in circolazione.
Dall'altra parte, il contributo di arrangiamento rimane su un canovaccio piuttosto contenuto e misurato, si potrebbe dire "sintetico": non si sfiorano mai le progressioni strumentali dell'ultimo The Amazing, se non in "Contact". Si potrebbe discutere se i due brani presi da "abysskiss", "From" e "Terminal Paradise", subiscano un trattamento sostanziale, e la risposta è "probabilmente no", ma non è neanche questo l'intento della band. Significativo è il contributo alla batteria, che rimane sempre presente ma come sullo sfondo, come un amico che sa quando farsi sentire e quando è meglio il contrario.
Si tratta in un certo senso del miglior accompagnamento possibile alle fragili e intime confessioni della Lenker, dedicate a un immaginario "amico UFO" e ricolme di riferimenti obliqui e immagini pregnanti ("Vacant angel, crimson light/ Darkened eyelash, darkened eye/ The white light of the living room/ Leaking through the crack in the door", "Driving through the night/ Rings of crystal, crystal light/ Every gulp of the warm suburb air/ Betsy's auburn, auburn hair").
In generale, un album per niente immediato, basato su una scrittura dagli spunti melodici esili quanto la voce di Adrianne, ma che rimarrà a lungo come punto di riferimento per l'Americana contemporanea.
08/05/2019