Una recente - e trascurabile - social challenge ha proposto l'accostamento tra scatti attuali e altri vecchi di dieci anni: e se facessimo il parallelo a livello musicale? I White Lies si presterebbero benissimo. Nel 2009 con "To Lose My Life..." il gruppo di Ealing s'inseriva negli ultimi vagiti del revival darkwave/post-punk tanto in voga. Con singoli efficaci, l'esordio e "Ritual" diventano successi commerciali, ma, per quanto si tratti di due lavori ben impacchettati, l'ascolto a distanza è privo di slanci significativi. Nel concept "Big Tv" la piega diventa più interessante, merito del nostalgico abbraccio dei sintetizzatori che sfocerà tre anni dopo nel gradevole synth-pop di "Friends". Ed eccoci arrivati a inizio 2019 e a "Five", il quinto capitolo della discografia.
I synth ci sono ancora, e parecchio. Sono l'avvincente trama su cui si snodano i sette minuti di "Time To Give". Nonostante la scelta - tra l'ambizioso e lo spiazzante - del brano come primo singolo e opening, le successive canzoni mostrano i White Lies concentrati a fornire la più smagliante e luccicante forma pop-rock. Sintetizzatori ben calibrati, il basso galoppante di Charles Cave, la chitarra e il timbro vocale di Harry McVeigh si fondono in un mix da ko, supervisionato dal fidato produttore Ed Buller (Suede). Alle fosche atmosfere goth/dark dei primi passi, il gruppo preferisce una zona di confine tra la new wave più elettro-rock e un melodico synth-pop.
"Kick Me" e "Tokyo" sono tra i momenti più diretti della loro produzione: la prima con quel giro di note ruffiane a sostegno del ritornello ammaliante, la seconda fresca e irresistibile: una hit perfetta. I brani da voler già cantare dal vivo non finiscono qui: "Denial" è l'ennesimo refrain magnetico impreziosito dal bell'assolo centrale. Se cercate altre tracce di qualche cara vecchia chitarra, ecco il giro acustico di "Finish Lane" e il colpo molto più duro nell'inarrestabile "Jo?", versione aggiornata di "There Goes Our Love Again". Solo la conclusiva "Fire And Wings" scricchiola, ricordando i passaggi più grossolani dei Killers di "Battle Born".
Concludendo il gioco, i White Lies non scriveranno le pagine più alte della storia del rock e forse non raggiungeranno mai lo status di culto di chi ha dato senso e vita alla scena dark/nu new wave (ovvero gli Interpol), eppure con "Five" si presentano maggiormente ispirati rispetto a colleghi più famosi (vedi i compagni di etichetta Editors) e una spanna sopra realtà con cui hanno condiviso esordi e accostamento alla corrente (Bloc Party o gli scomparsi - ed è un peccato - Glasvegas), avvicinandosi al rinnovamento apprezzato nell'ultima fatica dei Franz Ferdinand. Se riescono a garantire tale standard di godibilità, il gioco dei dieci anni più che una minaccia appare uno stimolo.
07/02/2019