Il piacere dell’inatteso, dell’inaspettato, poi il dubbio, il tormento, lo sgomento.
Difficile mettere ordine nelle sensazioni, quando quel che disorienta e stupisce mette in forse quelle poche certezze che credevi di aver assimilato, compreso.
Sturgill Simpson! Chi è costui? E’ l’ex-marine che voleva rimodellare il country di Nashville con iniezioni di honky-tonk e
outlaw music? E’ il visionario e irrequieto musicista che con un solo album, “
Metamodern Sounds In Country Music”, aveva riacceso le speranze degli amanti della musica americana? E’, più probabilmente, il disinvolto e audace protagonista di una delle pagine più belle della moderna restaurazione antropologica dell’
outlaw country, a base di inserti soul e cover di brani dei
Nirvana, inclusi nel pluridecorato “
A Sailor's Guide To Earth”? Chissa?
Non c’è tempo per le risposte, non è dato aver né tempo né verità, ora che Sturgill Simpson ha volutamente rimescolato le carte, conciliando l’inconfessata passione per i manga giapponesi con un’ancor più imprevedibile affinità con
T. Rex,
La Roux,
Cars e ZZ Top.
“Sound & Fury” non lascia spazio all’incertezza: prendere o lasciare, questo è l’unico approccio possibile con uno degli schiaffi sonori più violenti e grezzi dell’anno in corso. Chitarre elettriche tirate a lucido, synth straziati al limite del noise-pop, potenziali assolo smorzati da una coltre di suoni sintetici,
feedback fasulli il cui unico scopo è confondere le acque delle pur potenti melodie, riverberi che alternano armonie complesse a slanci passionali di rara bellezza.
Cosa vorrà dirci Simpson non è chiaro, ed è un bene: “Sound & Fury” è un album che non lascia spazio alle indecisioni, il ritmo dei manga tiene il tempo, aprendo le porte a un romanticismo eroico e distrattamente sentimentale.
Boogie, honky-tonk, country, hard-rock, synth-pop, soul, rap, funky, power-pop, metal,
glam,
disco-dance sono gli elementi creativi che Sturgill butta nell’immaginario falò di un futuristico
country-singer, inebriato dal dovere di riportare la giustizia nel mondo. E lo fa nell’unico modo possibile, con un film fantastico e surreale progettato per Netflix, del quale “Sound & Fury” è non la colonna sonora, ma l’elemento chiave.
Non è importante stabilire, quanto questo nuovo disco di Simpson possa incidere sullo scenario musicale contemporaneo, le dieci tracce sono parte di un enorme parco giochi dove il rock-psichedelico dei
Pink Floyd (“Ronin”) va a braccetto con il divertente
cosmic-pop-country di “Mercury In Retrograde”, ma anche dove il rockabilly si tinge di glam nel pop’n’roll alla
Elton John di “Last Man Standing”, intralciando poi l’atmosfera creata dalla ballata più ruffiana dell’album, “All Said And Done”.
Sfacciato, impudente, il musicista americano restituisce il favore ai When In Rome, scendendo in pista con un lucente synth-pop in attesa di una rilettura
friendly/acustic (“Make Art Not Friends”), sfida i ZZ Top sul terreno funky-rock di “Eliminator”, tirando fuori dal cappello magico l’ironico/iconico
hit-single “Sing Along” ed una furiosa potenziale replica al limite della
muzak, “A Good Look”.
A completare il quadro sono la grinta pop-rock di “Best Clockmaker On Mars” e la corrosiva furia grunge di “Fastest Horse In Town”, che trasudano pura eccitazione per la continua trasgressione di stili.
Il
patchwork d’atmosfere non è per Simpson un metodo di dissuasione o di distrazione, teso a convincere l’ascoltatore quanto egli sia bravo. “Sound & Fury” è solo il modo migliore con il quale il musicista può svelare al pubblico quanto riesca ancora a trovare stimolante e divertente fare musica, soprattutto ora che tutto è stato già detto e scritto. Questo è un potenziale glossario di emozioni in libertà, pronto a farsi apprezzare anche con l’ausilio delle immagini. D’altronde questo 2019 ha già visto Simpson protagonista di un film con il brano “The Dead Don’t Die”, tormentone musicale dell’
ultima opera di Jim Jarmusch: un regista che quando sceglie di assoldare protagonisti della musica rock, di solito non sbaglia un colpo.