L'insipido tintinnio del pianoforte presente in "White Nights" appare più un'emulazione (malriuscita) di Elton John, mentre in "The Dream Of Love" il duetto con la cantante americana Avi Buffalo scivola in un effimero regno indie-pop. E se nella ballata "Over & Over" la voce solista di Steven Wilson affiora come scialuppa di salvataggio, "Under My Skin" e "Summer's Gone" sono due testimonianze pop inconcludenti, che non posseggono nemmeno le minime caratteristiche sindacali di orecchiabilità.
La situazione tende a un flebile miglioramento nell'accorata e dolce "After All", nella sinfonica ballata "It's So Hard" (prodotta da Trevor Horn) e soprattutto in "Falling", dove minimali sprazzi di armonie provenienti dagli antichi toni à-la Porcupine Tree di "Radioactive Toy" fanno felicemente capolino.
Il missaggio compiuto dal decorato Rik Simpson (Coldplay), cimentatosi in alcuni brani anche su chitarre e tastiere ha, per fortuna, sgrossato alcune irregolari bordature presenti nell'embrionale materiale espostogli da Geffen.
Sonorità poco accurate e contenuti testuali troppo docili costituiscono un prodotto finale che può essere considerato un mero tassello di transizione, soprattutto se raffrontato alle profonde e crude tematiche sviluppate, anzitutto, con i primi due album Blackfield e le avvolgenti sonorità art-prog che ben avevano catalizzato l'attenzione sul sodalizio. La direzione più mainstream scelta da Steven Wilson per i propri album solisti deve aver influito sulle attuali e commensurabili vene artistiche di Arvid Geffen, ma mentre i prodotti del musicista inglese hanno conservato una qualità d'insieme piuttosto invidiabile, "For The Music" manifesta evidente insicurezza e rari picchi degni di nota.
(28/12/2020)