Per un lungo periodo di tempo ho vissuto la mia vita al chiaro della luna, senza mai vedere la luce del giorno, un po' come un vampiro. E, sì, questa abitudine ha influenzato molto il modo in cui vedevo il mondo. Vivendo di notte ne vedevo una faccia differente. Le strade vuote e il silenzio fanno apparire tutto in modo diverso, ti fanno pensare in modo diverso.
Sono passati sei anni da queste parole,
rilasciate da un appena diciottenne Archy Marshall a ridosso del suo concerto milanese. Un'inclinazione ancora presente, viste le atmosfere tremendamente notturne palesate in questo suo attesissimo terzo disco, "Man Alive!". Il talento di Peckham (South London) non cambia le proprie abitudini, collegandosi idealmente allo splendido, ma a tratti acerbo,
esordio discografico, e accantonando in parte le fascinazioni politiche spiattellate nel ben più complesso "
The Ooz", senza per questo rinunciare alla proverbiale
verve da crooner stralunato e (in)sofferente che lo contraddistingue a prescindere da ogni cosa.
"Man Alive!" contiene quattordici canzoni registrate al Shrunken Heads di Nunhead, il quartiere nativo di Marshall, con il solo fidato co-produttore Dilip Harris al proprio fianco. Durante la registrazione del disco, Marshall scopre di diventare padre per la prima volta. Un avvenimento ovviamente importante, cui si associa un'inconsueta "fruibilità" rispetto alle tenebrose istanze palesate nelle spettrali partiture dell'album precedente. Meticoloso
one-man band in studio, King Krule suona in perfetta solitudine gran parte degli strumenti, ad eccezione di pochi momenti, come il sassofono di Ignacio Salvadores che spunta in punta di piedi tra una vibrazione e l'altra.
Emergono i consueti disagi verso un "esterno" sempre più distaccato, e la paranoia a fungere da collante tra i pensieri. L'introduttiva "Cellular", con il suo passo formato
Alan Vega, inonda malessere, perdizione. Il sassofono in coda addolcisce, mentre Marshall si dimena nei propri incubi. La successiva "Supermarché" è decisamente più disturbata, e subentrano accordi
noise da appoggio a frasi sconclusionate, estrapolate dal taccuino del musicista, a margine di una certa passione per le conversazioni di persone intente a fare la spesa al supermercato (!).
La chitarra scivola sbilenca qui e là, creando il
climax deviato di sempre. Ed è forse proprio in questo disco che il cantautore inglese si avvicina al
Nick Cave degli esordi, quello dei foglietti con frasi
no sense sparpagliati nelle camere d'albergo, attaccati al muro seguendo una logica imperscrutabile. Il Cave dei primi anni 80, per intenderci, quello di "From Her To Eternity". Certo, lo stato d'animo di partenza è ben diverso, e Marshall non sarà mai Nick The Stripper, va da sé. Tuttavia, c'è in comune una recondita propensione al delirio solitario, alla fascinazione bizzarra. Vedi gli spettri che si agitano con una certa fierezza in "Stoned Again": basso killer, strofa vagamente rappata, chitarra contorta, rumori sullo sfondo e fiati che entrano ed escono da quella che sembra una bolla nerissima. Una meraviglia.
Al di là di alcuni episodi, "Man Alive!" è un album a suo modo "compatto". Lo confermano l'andatura alla
Virgin Prunes di "Comet Face" e il blues afflitto di "Alone, Omen 3". King Krule, d'altronde, rimane il cantastorie lunatico e lunare di cui sopra, un narratore isolazionista, mai controverso o banale.
Non mancano poi echi strampalati alternati a guizzi di lucida follia, come nel caso della celere "The Dream".
Stop making sense of things
I saw pylons stretch to the east
I wasn't sure at all why our love
Becomes sorrow and withers free
Ran a firework of dogs to walk with me
Felt this warm
Marching forth
I felt their warmth
Marching forth
We could be
L'album contiene anche opere d'arte del fratello di Archy, Jack, dipinti del padre Adam e fotografie della moglie Charlotte Patmore. Al netto di queste partecipazioni, "Man Alive!" è un'opera riservata, minimalista e sfuggente quanto la sezione ritmica di "Airport Antenatal Airplane". Stavolta, è l'aeroporto lo spazio ideale in cui calare la propria melanconia. Il primo singolo dell'album rilasciato il 19 novembre 2019, "(Don't Let The Dragon) Draag On", è invece un'ulteriore
ballad in salsa "blues", incentrata sul tema dell'alienazione e ispirata al fantastico film d'animazione del 1973, "Il pianeta selvaggio", disegnato da Roland Topor e sceneggiato dallo stesso illustratore transalpino assieme al regista René Laloux.
Il decadimento strumentale di pelli e fiati, con tanto di
field recordings tra un accordo al piano e l'altro, definiscono "Theme For The Cross" come uno sguardo istantaneo del musicista sul mondo. Una finestra che si apre e si chiude in quattro minuti scarsi, prima di rientrare e dare vita ad altri squarci di decadenza
bluesy ("Underclass" su tutte), con tanto di ipnosi finale in "
slide motion" ("Please Complete Thee"). L'ultimo apparente guazzabuglio di un affresco ancora una volta riuscito.
27/02/2020