Non solo i gruppi di punta, e altri progetti
idol che hanno riscosso i favori del sempre più ampio pubblico internazionale (si vedano le
LOONA e in misura minore le
Dreamcatcher), anche i solisti stanno tentando di varcare i confini della Corea e farsi conoscere dal mondo, offrendo uno spaccato più ampio sull'universo
k-pop e le sue molteplici diramazioni. Certo, con esempi quali BoA e Psy, il rischio di passare sotto traccia o trasformarsi in un
one-hit wonder buono per una stagione può essere alto, ma i tempi sono drasticamente cambiati e il potenziale per fare bene sul medio-lungo termine può essere alto.
Fresca di contratto con la 88rising (casa di
Joji e per un breve periodo di
Lexie Liu), ballerina di prim'ordine e interprete versatile, Chung Ha è l'ultima a estendere le sue mire oltre le frontiere nazionali, e con un
full-length quale “Querencia” è provvista di un eccellente biglietto da visita. Progetto collaborativo, di ampissimo respiro, con una struttura che richiama quella di un doppio vinile, il primo album della cantante di Seoul esibisce un'ambizione inconsueta per il filone, suddividendo i brani in quattro filoni tematici, per
mood e tratti estetici, che esplorano e espandono il potenziale del
k-pop sposando un approccio più universale, non per questo privo però di carattere. A conti fatti, già così è un successo.
Querencia, il luogo dove sentirsi al sicuro, riparati dalle aggressioni esterne: quello di Chung Ha assume quasi le fattezze di un lungo corridoio, con quattro porte attraverso cui accedere ad altrettante stanze, ciascuna a soffermarsi su un aspetto specifico, una particolare piega dell'anima della cantante. Nobile, selvaggia, misteriosa, piacente: a ognuna delle quattro stazioni viene dato un analogo spazio, e un'opportuna introduzione, a impostare dall'inizio il carattere del “lato”.
Il primo capitolo, dominato dalla
lead track “Bicycle”, trap-pop dai sovratoni latini che sfrutta il tocco irriverente delle
BLACKPINK ma con una scrittura e una produzione decisamente più accattivanti, ci mostra così il profilo incalzante e fiero della cantante, la sua attitudine
no-nonsense e appassionata, che ben si riflette nel grintoso affresco elettro-chitarristico di “Flying On Faith” e nel tocco dancehall/funk di “Luce sicut stellae”, sbarazzina e rilassata al punto giusto.
Il terzo segmento, introdotto dal cappello decostruito di “Unknown” che richiama le strutture in disfacimento del primo
Arca, sposta il baricentro sonoro tra la Giamaica e la Colombia e offre un saggio di spigliato latin-pop, con una parata di ospiti di prim'ordine. Dal ben popolare Changmo nella caldissima “Play” (appena increspata da prescindibili sovratoni Edm) allo svagato funky in scia
digital-cumbia di “Lemon”, scritta da e interpretata assieme al geniaccio del r&b coreano
Colde, per finire agli svagati
steel-pan in scia reggaeton di “Demente” (in compagnia del lanciatissimo Guaynaa), con Chung Ha ad abbozzare anche dei convincenti versi in spagnolo, la sezione si sposta in lungo e in largo per i continenti, e paga pegno alla versatilità di una voce che qui trova pieno sostegno al suo talento espressivo.
Laddove il quarto segmento, già anticipato da una “별하랑” che effettivamente rappresenta uno dei due momenti deboli dell'intero progetto, si prodiga in ballate e
midtempo di varia natura (“X”, con i suoi riferimenti
sixties e le sue venature soul, si avvale della firma degli eroi dell'indie
made in Korea Black Skirts, “All Night Long” con le sue effusive venature retrò reca chiaro il marchio di
Yerin Baek), è con il secondo lato che l'album estrae dal cappello le sue trovate più accattivanti, i momenti da custodire. “Dream Of You”, passo funk e ritornello sincopato, non può non richiamare alla memoria “Break My Heart” di
Dua Lipa, rispetto però alla
hit dell'inglese il brano di Chung Ha spinge ulteriormente sul lato danzereccio e sulla lucidità dei synth, che fungono quasi da raccordo col tripudio nu-garage di “짜증 나게 만들어”, brano sviluppato dalla maestra del synth coreano Sumin, articolato su un'inesorabile progressione canora e un esplosivo tocco melodico.
Su tutte svetta però il più luminoso
anthem k-pop dell'ultimo triennio, quella “Stay Tonight” che ha dato nuova propulsione all'intera
future-house, che è riuscita a sfruttare la tecnica del climax per spegnerla nel più magmatico dei ritornelli, tutta bassi vulcanici e fraseggi spezzati, puro
vogue futuristico. Se anche la parte restante dell'album fosse stata mediocre o peggio, una canzone di tale livello sarebbe stata capace di salvarlo in
corner.
Sedici brani, 5 interludi, un'ora di durata: riuscire a portare a termine l'obiettivo con giusto un paio di riempitivi, in uno scenario che invece premia la sintesi più estrema, è una rarità. Centrarlo con un organico da grandi occasioni, adattato di volta in volta alle esigenze dei singoli brani, è proprio un unicum. Duttile ma mai arrendevole, la voce (e in sparute occasioni la penna) di Chung Ha si impone su un progetto così espanso, offrendo il più ampio spaccato possibile delle sue notevoli doti espressive. Se il suo nome comincerà a fare i giri nei circuiti internazionali che contano, qui vi avevamo avvertito....
04/03/2021