Gli arazzi della North Sea Radio Orchestra, le decorazioni naif del folk-prog degli Arch Garrison: Craig Fortnam continua a stupire con le sue eleganti creazioni, uscendo finalmente allo scoperto con un disco in piena autonomia creativa: “Ark”.
Per questa prima opera sotto il proprio nome, Fortnam si affida a un tratteggio in bianco e nero, intimo e crepuscolare. “Ark” è un chiaroscuro, un disegno, un graffito: non manca nulla del patrimonio artistico ed espressivo già noto, sono solo le tonalità a essere leggermente sfumate. E’ come se il musicista cercasse una rotta attraverso la quale purificare queste dieci composizioni. Molte di esse sono accenni, segmenti, idee liriche rubate al proprio passato con la North Sea Radio Orchestra, al madrigale ricco di contrappunti di “The Gargoyle's Seaweed Hair”, o a un passato ancor più remoto e ancestrale che è poi all’origine di tutto: l’incantevole duetto per piano e chitarra di “Crack Haven”.
Nicky Baigent (clarinetto), Brian Wright (violino), Luke Crookes (fagotto) e Harry Escott (violoncello), musicisti tra gli attuali membri della N.S.R.O., e il pianista James Larcombe - compagno di avventura anche nel progetto Arch Garrison oltre che nella band - danno il loro prezioso contributo al disco più dolente e malinconico di Fortnam. La perdita del fratello della madre e dell’amico fraterno Tim Smith dei Cardiacs ha lasciato un vuoto, ed è proprio il sentirsi svuotato, come alla deriva, l'elemento emotivo portante di “Ark”. E’ dunque naturale che molte canzoni suonino come dei piccoli requiem laici, sia che si colorino di apparenti toni festosi (la title track), sia che si ammantino di delicati tocchi di fingerpicking nello splendido folk minimale di “Heaven Knows”.
Con ben sei tracce al di sotto dei due minuti e mezzo, l’album svela la propria natura di corpo unico creativo, con due lunghe composizioni al centro della scena. La prima, "Managed Decline On The Orford Ness", è un'avventurosa mini-suite adagiata su trame di folktronica e minimalismo ritmico-melodico che creano un vortice di suoni cristallini che si inebriano di danze barocche e accenni sinfonici.
La seconda, “A Speck I Am”, si arrischia in meandri orchestrali ancora più insidiosi: il miscuglio di elettronica, acustica, voci e archi dialoga con la psichedelia e il prog-folk con una complessità che è pari allo splendore degli arrangiamenti.
Non stupisce che anche le tracce più brevi siano un concentrato di purezza e creatività: il prezioso chamber-folk-prog di “Ravensodd” e la spensierata ballata “German Ocean” si nutrono l'una con l’altra, creando un magico connubio.
Allo stesso modo il volteggiare dei violini di “Now Floods The Tempest High” e il cantato da vecchio menestrello di ““Heaven Knows” pescano nello stesso immaginario folk, mettendo a nudo l’animo da cantastorie che è poi la vera novità di “Ark”.
Craig Fortnam questa volta è più poeta che musicista, più pittore che compositore; è come se nelle sue vene scorresse lo stesso sangue di Nick Drake, Robert Wyatt, Kate Bush e Kevin Ayers, un’attitudine che infine dona luce e unicità all’atipica e surreale ballata psichedelica “Strophic", ulteriore indizio di un percorso creativo in continuo movimento ed elaborazione. Una sintesi di essenzialità e innovazione che annuncia nuove folgoranti avventure.
14/12/2021