Fermi tutti! I fratelli Brewis non si sono fatti sopraffare dall’isolamento causato dal Covid e sono pronti a lanciare l’ennesima sfida creativa.
Da sempre in tour con set spartani, nonché ineffabili autori di un artigianato musicale che si nutre di dettagli e non di spirito da jam session, con il nuovo album “Flat White Moon” i Field Music cesellano l’affresco pop per eccellenza dell’era pandemica.
I quattro minuti e quaranta secondi del video di “No Pressure”, sono la chiave di lettura per comprendere fino in fondo l’originalità e la forte personalità della band, una lezione di composizione pop, che non solo non tace le influenze mai nascoste (Beatles, Xtc, Free, Cockney Rebel), ma addirittura svela trucchi e facezie dell’art-pop degli ultimi 30 anni, attraverso un video e una canzone oltremodo irresistibili.
Ben dodici brani per l’album più essenziale e diretto della band di Sunderland. A voler giocare con le citazioni, “Flat White Moon” è il loro “Rumours”, un graffiante “Black Sea”, un ribelle “Pretzel Logic”, un equamente bizzarro “How Dare You”, un modesto “Revolver”, un poco probabile “Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me” e, perché no, un potenziale “More Songs About Buildings And Food”.
L’attitudine funky alla Prince è in verità l’elemento catalizzatore di un disco che rimette le quotazioni della band al vertice della scena pop contemporanea. Anche la nostalgia agita le acque, senza che il gruppo ne resti mai vittima, anzi padroneggiandola con rinnovata ironia e sarcasmo: quanti sarebbero in grado di cantare "Possiamo sparare alla merda" su un tempo prog-pop alla Gentle Giant era “The Power And The Glory”, nell’apparentemente romantica “Not When You're In Love“.
Il gioco del citazionismo non è mai stato così brillante e piacevolmente esplicito come in “Flat White Moon”, ad esempio. Il pop sinfonico di “When You Last Heard From Linda” sembrerebbe al primo ascolto un patchwork alla Beatles era “Strawberry Fields Forever” per poi palesare un mood Xtc al ralenti.
Il microcosmo/macrocosmo dei Field Music si nutre di riff, refrain e brevi hook che sono parte della storia del rock, al pari delle scorribande di Partridge e compagni sotto le mentite spoglie dei Duchi della stratosfera, mescolano sacro e profano: Yes e Stevie Wonder in “In This City”, la psichedelia dei Beatles con la scintillante magia dei Field Music (oops) in “Orion From The Street”, o le idiosincrasie di Lindsey Buckingham con i coretti degli Sparks in “Do Me A Favour”.
Imprevisti in chiave blues/garage-rock (“Meant To Be”), citazioni baroque-pop in chiave beat (“Invisible Days”), un riff Aor privo di pudore e pathos (“Out Of The Frame”), e carnalità funky alla Prince (“And You Get Better”) sono solo altre forme geometriche di un universo pop che rinunciando ad abbellimenti e trucchi provocherà senz’altro qualche dissenso da parte della critica più chic.
Non importa, i Field Music sanno divertire e divertirsi con le sette note, come novelli Todd Rundgren mettono in fila una personale raccolta di feticci sonori, ben consapevoli che anche se tutto è stato già inventato, c’è ancora spazio per buon gusto e arte del dettaglio, una qualità che rende la band dei fratelli Brewis unica e sconvolgente.
02/05/2021