Richiami nostalgici come gli anni di Captured Tracks e Cherry Red, echi di Orange Juice e Belle And Sebastian, la Brooklyn versione hipster primi anni Dieci di Blood Orange e Friends, melodismo dolciastro circondato da uno stuolo di archi, ottoni e vecchi sintetizzatori, con sopra quella voce che pare un incrocio tra Nina Persson e Lykke Li: se potessimo distillare gli ultimi trent'anni di temi e variazioni sull'evoluzione dell'indie-pop, probabilmente otterremmo come liquido un prodotto non troppo dissimile da "Jubilee".
Nata in Corea ma cresciuta in America, la 32enne Michelle Zauner - in arte Japanese Breakfast - ha fatto molto parlare di sé nel corso dell'ultimo decennio, perlomeno nella blogosfera di riferimento. Autrice, musicista e anche scrittrice, non fa segreto di un passato da punkette studentesca e di autrice da bedroom indie-rock, che per quanto smussato le dona ancora un afflato vagamente ruvido.
Con "Jubilee", la sua seconda uscita sotto la più austera Dead Oceans, gli intenti sono però chiari sin dalle calorose tonalità di giallo che pervadono la foto di copertina: aperture squisitamente naif ("Paprika"), un elegante tocco adult oriented a ricordare Weyes Blood ("Kokomo, IN", "Tactics") e la giocosa indietronica di un Erlend Oye bruciacchiato sotto al sole della California ("Slide Tackle") fanno del disco un ascolto immediatamente piacevole a pelle.
Non manca un vago retrogusto queer, soprattutto nello splendido singolo "Posing In Bondage", che offre uno dei motivi più belli dell'intero lavoro e arriva accompagnato da un suggestivo videoclip - oltre a fornire, col suo delicato flusso elettronico, un possibile assist verso l'altra apprezzata sensazione indie dell'anno, Arlo Parks. Completano il trittico di singoli la pulsante linea di basso funk-wave alla Lizzy Mercier-Descloux di "Be Sweet", e "Savage Good Boy", sulla quale pare di intravedere Sky Ferreira alle prese col più addomesticato assolo hair-rock mai inciso.
Ci sono comunque le corpulente chitarre shoegaze di "Sit" a dare al lavoro un tocco pacatamente sognante come certi Sigur Ros, mentre nei quasi sette minuti del dilatato finale "Posing For Cars", Japanese Breakfast sfalda progressivamente la struttura della canzone verso un'onirica serie di distorsioni dai forti toni psichedelici.
Ed è tutto: dieci canzoni per trentasette minuti appena, un piccolo intarsio di disco potenzialmente capace di attirare un pubblico proveniente da svariati sentieri d'ascolto. Japanese Breakfast ha fatto centro, insomma - è certamente furba, forse anche ruffiana in certi frangenti ("In Hell"), ma innegabilmente abile nel far prevalere una vena autoriale che non manca di pathos e sa toccare tutte le corde giuste.
Con l'estate ormai alle porte, "Jubilee" è il disco del momento col quale trastullarsi in santa pace.
10/06/2021