Il fatidico secondo disco: quello che ti fa o ti distrugge, quello sul quale gravano le aspettative dei fan e le frecce dei detrattori. Ma Mahmood s'è lanciato dalla rupe, appeso a un lavoro che rispecchia tutta la sua ambizione, anche a costo di risultare vanesio e disconnesso dalla realtà. "Ghettolimpo", infatti, suona al contempo sinistro e familiare, eternamente in bilico tra melodismo radiofonico, ritmiche serrate e divagazioni elettroniche inusuali per un autore noto a livello europeo.
Si può rimanere storditi da tale miscuglio di luccicanti riferimenti mitologici e studiate pose post-moderne, eppure l'effetto è inebriante. Tra la finzione del pop e il coraggio di osare, trapela infatti un'inedita ispirazione tutta nervi e spigoli, per la quale è anche difficile trovare paragoni.
Basti osservare la traccia che dà il titolo al lavoro: "Ghettolimpo" marcia cupa come una catena di montaggio, salvo poi planare all'improvviso su un arioso ritornello sanremese, inscenando in due soli passaggi quel dialogo tra culture che da sempre rappresenta il marchio di Mahmood. Il suo stile vocale - un vibrato secco e asciutto, a metà strada tra la cantilena mediorientale, il romanticismo della tradizione italiana e il rap di strada dei giovani di quartiere - si adagia bene su metriche inusuali e repentini cambi d'atmosfera. La produzione, sempre a cura di Dardust su grossa parte del lavoro, è più luccicante e "hyperpop" che mai, spesso aggressiva nella ricchezza di sfumature.
L'ascolto viene impacchettato tra l'introduzione di "Dei" e la chiusura di "Icaro è libero", una palette espressiva che va dai collage di Aisha Devi alle contorsioni di Fatima Al Qadiri. "Baci dalla Tunisia" sembra fare il filo ad A.G. Cook: pop da ambienti digitali col tintinnìo metallico del vocoder a screziare il cielo nero del deserto di Sevdaliza. Sulla ballata lunare "T'amo" viene interpolato un passaggio del canto tradizionale sardo "No potho reposare" mentre un cinematografico coro d'angeli robot si gonfia sul finale con maestosa dolcezza.
Sia "Kobra" che "Klan" danno invece fondo a una trascinante bass giovanile, tra vischiosi perni trap e serrate accelerazioni a un passo dal diventare techno. L'accoppiata "Talata" e "Dorado", semmai, è la tassa di ritmi caraibici da pagare per entrare nella rotazione estiva - ma in entrambi i casi, Mahmood ci evita perlomeno il solito immaginario da spiaggia in favore di più umbratili riflessioni erotiche e corali ritratti di periferia.
Con due enfatiche ballate quali "Rapide" e "Inuyasha", e il più lineare pop di "Zero", l'autore si concede alla canzone italiana senza perdere di vista la propria curiosità. C'è pure una defilatissima Elisa a far presenza in "Rubini", brano che pare una chanson riadattata all'era di Hannah Diamond, mentre su "Karma" compare il francese Woodkid, altro artista notoriamente capace di piegare il mainstream alle proprie inusuali sensibilità.
Contro la più lineare stesura di "Gioventù bruciata", il nuovo "Ghettolimpo" sembra congegnato per aggredire i sensi: più romantico nelle sviolinate, più spinto nelle fughe percussive, più convulso nell'impiego di elettronica d'avanguardia, più proteso che mai verso scale arabe per un abbraccio davvero completo di tutto il bacino Mediterraneo.
Mahmood non va troppo per il sottile, proprio come la cura dell'intero immaginario che accompagna questa sua nuova era: abbigliamento spiccatamente queer, videografia satura, riferimenti culturali meticci, esibizionismo da social e un percettibile omoerotismo nel quale potersi crogiolare senza vergogna come Dei nell'Olimpo.
Mahmood il Divo terreno dispiega le ali, tra vanità e ferite ancora aperte, a tratti risulta sin troppo studiato ma l'ispirazione non cede. Prendere o lasciare, ma su una cosa non si può che concordare: Icaro è davvero libero.
27/06/2021