A cosa, o a chi, teniamo davvero? Riusciamo a dimostrarlo? Abbiamo veramente coscienza delle difficoltà e della dedizione necessaria per prendersi cura di ciò/chi a cui teniamo? Sono domande complesse, che non offrono di certo una risposta univoca. Sono complesse a tal punto che Stefano De Stefano, voce tra le più riconoscibili dello Stivale, argina ogni tentativo di replica e presenta il suo quarto album a nome An Early Bird con un nuovo quesito. “Are We Still In?”, questo l'interrogativo che accompagna l'autore lungo la mezz'ora di durata del progetto, questo il motivo portante che conduce le nove canzoni verso una nuova crescita stilistica, una ridefinizione che amplia le possibilità espressive, affrontate con tutta l'esperienza e l'accortezza necessarie. Si fa presto a rispondere ai notevoli spunti melodici disseminati lungo tutto quanto il lavoro.
Nel suo progetto più collaborativo di sempre (quattro i musicisti che da tutta Europa prestano la propria voce, tra cui Her Skin nel tenero abbraccio conclusivo di “Fading Into Day”), De Stefano non rinuncia chiaramente al suo impianto folk di base, da sempre capace di una disarmante agilità espressiva. Nel giocare con una più ampia tavolozza sonora l'autore non ha comunque minimamente timore a sporcare il suo binomio voce-chitarra e ad approfondire le passioni di una vita. Il leggero tocco rock che riveste momenti come “Last Song Of The Year” e “Colours” contorna la dolcezza di tratto di una penna che sa dominare contorni più robusti e focalizzare tutta l'energia strumentale.
L'ottimo tocco pop che aveva contraddistinto alcuni dei migliori momenti di “Echoes Of Unspoken Words” qui si ripropone con slancio rinnovato, corona i fraseggi celtici di “Wake Up, Wake Up” in un incalzante passo a due con l'autrice austriaca Agnes Milewski. “Lights Off” sfrutta il senso dell'atmosfera ben approfondito in “Diviner” per stringere il nodo attorno a uno dei passaggi lirici più potenti dell'album, il lucido tentativo di ripristinare un rapporto deterioratosi; la melodia, agile come il migliore indie-pop anni Novanta, suggella un disco che esalta ancora una volta la plasticità di una scrittura precisissima.
Può poi partire il gioco dei riferimenti e delle citazioni, il ballo dei ricordi e delle assonanze. Un pizzico dell'eterno Sam Beam qui, echi di Quigley lì, fascinosi spunti britpop di contorno allo struggente materiale lirico. Rivelano però poco di un'arte che si muove seguendo coordinate ben più sfuggenti, che si nutre dei frutti di una passione coltivata con lodevole pazienza.
Non ha fornito una risposta univoca al quesito, ma a giudicare dal sentimento infuso An Early Bird sa cosa meriti la sua premura. Colore e calore vanno a braccetto, per quello che è un nuovo centro pieno.
21/12/2022