L’estetica sonoro-visiva nutrita da minimalismo, isolazionismo e suggestioni nordiche è da sempre centrale nella produzione creativa di Alessandro Tedeschi. Che si tratti di curare e dirigere le uscite della sua Glacial Movements – riferimento imprescindibile dell’universo ambient nostrano e non solo – o di plasmare in prima persona itinerari aurali profondamente immersivi, l’immaginario glaciale è e rimane fonte inesauribile da cui continuare ad estrarre preziosa linfa.
“Vanishing Lands” aderisce con precisione a questa linea di continuità proponendo una nuova escursione attraverso territori desolati e desolanti che scaturiscono dall’evidenza di una condizione climatica sempre più critica, risentendo inoltre dei postumi del recente trascorso pandemico. Mossi da queste premesse, i soundscape del musicista romano si fanno più malinconici, virando verso latitudini crepuscolari definite da una maggiore ricchezza armonica, capace di smorzare l’abituale essenzialità di atmosfere silenti affini all’universo köneriano. Vibrazioni basse di archi trascinati, rintocchi pianistici scarni e soprattutto modulazioni vocali dolenti si sommano alle correnti sintetiche vaporose e alle screziature materiche dando forma a un requiem atmosferico.
“Last Sunset”, con la sua risacca che scivola lentamente in una nenia ottundente, mette subito in chiaro quali siano le coordinate di questa deriva ecologico-emozionale popolata da echi spettrali. Le strutture ambient di Tedeschi si rivelano più fitte, costellate da risonanze e modulazioni che concorrono alla definizione di scenari prossimi alla sofferente solennità di Basinski (“Stillness Beneath The Ice Pack”), ma che sanno ritrovare altresì un’estrema rarefazione di stampo riduzionista (“Slow Moving Streams”). Ne scaturisce un quasi-notturno inquieto perfettamente rappresentato dalla foto di copertina di Tero Marin che accompagna lo sguardo al di là di uno scorcio di ghiaccio in disfacimento verso un orizzonte incerto.
22/07/2022