Dopo il poco ispirato “New Material”, il quartetto post-punk canadese si presenta senza più il supporto del marchio Jagjaguwar, con il solo patrocinio della canadese Flemish Eye, ma con rinnovata verve.
Le corrosive sonorità degli esordi, sotto il rinnegato nome di Viet Cong, sono in verità un lontano ricordo: ambizione e gravità ideologica hanno avvolto l’energia della band in un nebuloso e cupo corpo sonoro, la rabbia si è trasformata in rassegnazione, il groove post-punk si è conformato allentando le influenze più destabilizzanti (Sonics e Black Sabbath). Quel che resta è un incorruttibile nichilismo, che i Preoccupations vestono di soluzioni shoegaze, di imprevisti psych-rock e di un citazionismo ricco di tagli e cuci, che a volte non giova all’originalità del nuovo progetto. Il passo in avanti rispetto al precedente album è comunque evidente: all’esuberanza è subentrata una ragionevole consapevolezza della drammaticità dei tempi correnti.
L’essenza di “Arrangements” è racchiusa negli abbondanti sette minuti e mezzo di “Advisor”, pezzo che funge da catalizzatore di pregi e difetti del disco, una introduzione degna della trilogia berlinese del Duca Bianco: pulsioni darkwave e accenni garage-rock dipanano la matassa, la voce di Matthew Fiegel resta nelle retrovie, lasciando che siano gli intrecci di basso, tastiere e chitarre a condurre le danze, suscitando un senso di vuoto e incertezza che è il vero tallone d’Achille della band. Nel raccontar d’angoscia e caos, i Preoccupations a volte non mettono del tutto a fuoco la scena sonora, le melodie sono strutturali alla natura vulnerabile dei sempre validi testi, con risultati ora stimolanti (“Fix Bayonets!”), ora non del tutto esaltanti (“Death Of Melody”), mentre la lettura in chiave shoegaze dei Cure in “Slowly” stuzzica ma non affonda.
“Arrangements” è un disco che non beneficia a fondo della recente rinascita del post-punk, non è chiaro se per scelta o contrarietà creativa, ma ad ogni passo nella giusta direzione corrisponde un’insicurezza che non giova alla resa finale.
E’ un album che funziona più come epitaffio sonoro del post-punk: nelle nuove composizioni dei canadesi c’è più ruggine che sangue, ed è infine curioso che a tenere alta la bandiera del gruppo siano i due slanci più melodici del disco, ovvero la seducente e memorabile “Ricochet” (difficile non pensare ai Chameleons) e l’incandescente e tribale danza romantic-goth di “Tearing Up The Grass”.
Più che una conferma, il nuovo album dei Preoccupations è un nuovo inizio, un potenziale reloaded di una band che ha ancora tanto da dire.
09/12/2022