Ne sono successe di tutti i colori, perlopiù scuri, in questi quattro anni che separano "And Nothing Hurt" da questo nuovo "Everything Was Beautiful". Ancora la ricordo la mattina del 2018 in cui ascoltai per la prima volta il penultimo disco degli Spiritualized: era una mattina normale, come tantissime altre, come non ce ne sarebbero state più.
In sede di recensione scrissi che Jason "J. Spaceman" Pierce è una sorta di zio astronauta che ci fa visita di tanto in tanto per caricarci di meravigliose storie aliene, capaci di imbambolarci dal primo all'ultimo riverberino psych-rock.
Ma allora dove è stato il nostro strampalato zio spaziale in questi quattro anni di virus letali, lockdown globali e isteria collettiva? A giudicare dai toni placidi del suo nuovo disco, il nono sotto la ragione sociale Spiritualized, la risposta è chiara: a procacciarci una medicina capace di farci provare la serenità di un tempo, quando "Everything Was Beautiful" - peraltro, chi si procurerà la versione in vinile del disco potrà staccare la scatoletta del farmaco dalla copertina (ideata da Mark Farrow) e assemblarla.
Pur fedele all'ormai consolidato sound Spiritualized, "Everything Was Beautiful" si concede qualche svisata dalla tradizionale rotta di Pierce e accoliti. Così, dopo una romantica "Always Together With You", che ci porta a quota "Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space" pur con qualche rasserenante deviazione gospel, incontriamo subito una rombante "Best Thing You Never Had", praticamente un Paisley Underground in salsa inglese con finale per ottoni.
Questi ultimi ritornano sul terminare della lunga e trionfale "The A Song (Laid In Your Arms)", ma fanno anche brillare il finale della languida "Let It Bleed", che condivide però l'anima country e la slide guitar con la successiva "Crazy"
Spunti più tradizionalmente space rock affiorano lungo i pulsanti cinque minuti e mezzo di "Mainline"; mentre i quasi dieci della cavalcata finale intitolata "I'm Coming Home Again" vedono Pierce vestire i panni del crooner polveroso e brulicano di epica western, tastiere psych, armoniche fatte riverberare nello spazio e cori soul.
È certamente il vertice di un disco prodotto come al solito con minuzia, senza avarizia di mezzi, che varia la formula che conosciamo quel minimo che basta per mantenere viva l'attenzione e che rimpingua ampiamente un già inarrivabile canzoniere. Grazie zio Jason, ne avevamo bisogno.
22/04/2022