No, non chiedete ai Tears For Fears di essere felici. Forse non lo sono mai stati nella vita, intesa spesso come un sogno a tinte horror ("Is it an horrific dream?").
Lo psicoterapeuta-psichiatra americano Arthur Janov con la sua terapia dell'urlo primordiale era stato inseparabile compagno di viaggio di gioventù, durante la registrazione di quel capolavoro di disco che è "The Hurting", la riproposizione in musica di un copione tragico raffigurante un'infanzia infelice. I suoi libri, "The Primal Scream" su tutti, erano per la coppia la filosofia, la religione, e da qui era iniziata la storia del gruppo, a partire dal nome.
Dopo 17 anni contraddistinti da pubblicazioni ripetitive di greatest hits e tour celebrativi che seguirono il disco della reunion "Everybody Loves A Happy Ending", imbarazzante operazione di restyling che voleva recuperare la matrice pop sixties senza averne la forza, arriva oggi "The Tipping Point", che nonostante venga dipinto come conseguenza, tanto per cambiare, di un altro evento tragico (la morte della moglie di Orzabal per cause dovute all'alcolismo) in realtà ha una genesi molto più complessa, che parte addirittura dal 2013.
In questi anni ci sono stati i soliti avvicinamenti e allontanamenti tra i due sodali, collaborazioni iniziate e mai portate a termine, abbozzi di canzoni poi scartate, momenti di down totale e infine una ritrovata (chissà per quanto) sintonia tra i due cervelli che è stata l'equilibratore di questo nuovo disco uscito quasi fuori tempo massimo, disco che vuole apparire, a detta dei protagonisti, come una celebrazione catartica della vita di qualcuno che è sopravvissuto a un'esperienza traumatica, la testimonianza perfetta di come il crepacuore, la sofferenza e la tragedia possono essere trasformati in arte trascendente.
Nei dieci bozzetti che compongono il punto di non ritorno troviamo alcuni rimandi al passato più enfatico, su tutti la title track che ripropone il groove shuffle che aveva eletto nell'olimpo del pop "Everybody Wants To Rule The World", ma in una versione più intimista, sognatrice, malinconica rispetto al riferimento, mentre "Break The Man" si riallaccia ai fiori dell'amore, praticamente un sequel pro-femminista di "Woman In Chains" senza averne però la stessa dirompente forza emotiva.
Qualche sorpresa la riserva la folkeggiante "No Small Thing", che si apre in Dylan-style (senza dimenticare Cash) con un finale quasi noise, ma il meglio - primo singolo a parte - Gandalf Orzabal e il Duca Smith lo danno nei brani più crepuscolari: il midtempo sintetizzato di "Long, Long, Long Time" e ballad come "Rivers of Mercy" e "Please Be Happy", preghiere al capezzale della moglie morente.
Canzoni sincere, oneste, spoglie di quella affannosa ricerca dell'easy listening che invece ammanta e rovina per esempio "End Of Night" e soprattutto la pacchianissima "My Demons", testo distopico e sound che strizza l'occhio a inedite esuberanze elettronico/industriali in un synth-rock pomposo e pretenzioso. Non è il loro stile, non lo è mai stato.
Al di là dei nobili e sofferti motivi che hanno riacceso la miccia, questo disco merita una sufficienza stiracchiata e nulla più, è "solo" una raccolta di pezzi, qualcuno buono, molti altri meno (nessuno memorabile), scritti in un lasso di tempo troppo ampio. Un disco che non ha la forza di innalzarsi a concept come invece lo fu l'inarrivabile triade iniziale a testimonianza che, affetto immutato a parte, quella dei Tears For Fears è una storia che nasce e muore, artisticamente, in quel decennio che portiamo nel cuore.
Prendiamo e portiamo a casa, che alla nostra età siamo più di bocca buona e ci accontentiamo più facilmente. Certo, se dobbiamo rimanere in ambito eighties, gli Psychedelic Furs in tempi recenti e i Cars nel 2011 avevano fatto decisamente meglio. "The Tipping Point" non è certo quel capolavoro cui stanno plaudendo i media nostrani e pure internazionali, sappiamo che un disco inaspettato di una band data per finita quasi sempre riesce a provocare orgasmi dimenticati e relativi condizionamenti. Non a caso il ritorno in Italia nel 2019 aveva provocato un'attesa spasmodica e quasi incredibile (sold out in grandi arene nonostante i prezzi esorbitanti), se pensiamo che l'ultimo grande disco risaliva a ben 30 anni prima. Mezzo voto in più per l'artwork.
05/03/2022