Less is more è uno slogan che tutti ormai abbiamo imparato a conoscere, vuoi perché ampiamente sdoganato in ambito marketing, vuoi perché i tempi che corrono impongono di fare spesso e volentieri di necessità virtù. Ciò non toglie che questo concetto non possa trovare validi riscontri nelle più svariate arti, e soprattutto nella musica. Sottrarre, quando si tratta della sfera sonora, può essere talvolta la più vincente tra le carte presenti nel mazzo. Una teoria che trova ulteriore riprova in “Suono in un tempo trasfigurato”, l'album in cui si incrociano alcune tra le menti e le realtà più valide della scena bolognese: Francesca Bono, voce e chitarra degli Ofeliadorme, Vittoria Burattini, anima pulsante dei Massimo Volume, e non ultima Maple Death Records, l'etichetta di Jonathan Clancy che continua a far emergere titoli a dir poco interessanti dall'italico underground (e oltre). Utilizzando soltanto un vecchio sintetizzatore e una batteria acustica, oltre ad altri sporadici elementi che appaiono e scompaiono dalla sottile trama di questo racconto suddiviso in dieci capitoli, Bono e Burattini danno forma a un appassionante repertorio di psichedelia a cavallo tra elettronica, minimalismo, avanguardia.
Se a fornire l'ispirazione all'album – e forse, chissà, al progetto stesso – è la visione di tre cortometraggi avanguardisti degli anni Quaranta della regista ucraina Maya Deren (“At Land”, “Ritual In Transfigured” e “A Study In Choreography For Camera”), non v'è dubbio che tutto l'orizzonte sonoro orbiti attorno al Juno 60 che Francesca Bono possiede da una quindicina di anni, e che già aveva fatto capolino tra le pieghe degli ultimi album degli Ofeliadorme. Qui il sintetizzatore passa dal ruolo di comprimario a quello di protagonista, con i rintocchi di Burattini a incorniciarne le traiettorie, e certo non si può non ammirare il grande lavoro effettuato da altri due fuoriclasse quali Stefano Pilia alla produzione (e in qualche intervento sonoro) e Matteo Bordin al mastering.
La fusione – a freddo – dei rispettivi mondi sonori delle due artiste bolognesi, messa a punto tra la primavera e l'estate del 2021, si trasforma ed evolve in un universo inesplorato nel quale realtà e sogno si confondono, gli abissi sono un tutt'uno con la volta celeste, dannazione e redenzione rimangono come sullo sfondo, immerse in uno scenario al tempo stesso maestoso e imperscrutabile, come la musica di Bono/Burattini.
Le tracce di “Suono in un tempo trasfigurato” irretiscono nel loro moto circolare, con pattern ripetitivi e spesso ieratici, talvolta abbozzanti possibili movimenti ascendenti. Il carattere è meramente strumentale perché anche quando compare la voce della Bono, come in una “Le ossa” dal cipiglio quasi-industrial, non è per cantare, bensì per aggiungere un ulteriore elemento a echeggiare all'interno di una delle trame sonore più fitte dell'album, mentre in “The Ballroom” è il ripetersi di una singola parola ad accompagnare le evoluzioni sintetiche del brano, ipnotizzando l'incauto ascoltatore.
Altrove, pare di galleggiare in uno spazio celeste: “Stella” mette d'accordo allucinazioni horror per pianoforte – ma echeggia pure il Reznor di “The Fragile” - con l'immaginario spaziale caro agli Air, nell'attesa di un climax che non arriverà mai. Ancora più affascinante è “Trick Or Chess”, un'avventura sci-fi che si sviluppa al rallentatore, un'epopea tascabile destinata a sbriciolarsi infine in qualche galassia lontana.
C'è qualcosa di ancestrale e di misterioso a caratterizzare la prima parte de “La trama del desiderio”, prima che un crescendo strumentale vada ad accentuare la tribalità esoterica, ma postmoderna, del pezzo. È in capitoli come questi, e forse ancora più in una “Sogno nel vigneto” dagli accenti krauti, che Bono / Burattini si riallacciano a una certa eredità sonora passandola al setaccio di un'elettronica sperimentale contemporanea come quella, ad esempio, dei Cavern Of Anti-Matter.
“Dinner Illusion” rappresenta l'approdo più onirico del lotto, una traccia di rarefatta, estatica bellezza, attraversata in controluce, di nuovo, dalla voce della Bono. Un incedere lento, anzi rallentato, che fa il paio con quello di “Dancing Demons”, libera dai vincoli della forma-canzone, sospesa in un limbo nemmeno troppo lontano dalla new age alla maniera di Suzanne Ciani.
Il crescendo ottantiano e minaccioso di “Your House Is A Ghost” va invece a scalfire il muro ruvido del rumorismo, prima che i chiaroscuri di “Waves” chiudano il sipario sparendo all'orizzonte, forse – auspichiamo – verso nuove avventure sonore.
(01/03/2023)