Volevo mettere da parte le macchine per sperimentare con l'orchestra
È un equilibrio che funziona da solo, e che non volevo spostare con altri parametri
(Thomas Bangalter ai microfoni di France Inter)
A vederlo
così, con tanto di berrettino, aria da falegname, parole da filantropo alle prime armi e nuove smanie di cui sopra, viene da chiedersi: cos'è successo a Thomas Bangalter? Dov'è finito il casco? Che fine ha fatto il mistero? E adesso chi ci salverà dalla noia?
Certo, la risposta a tutte queste domande è dietro l'angolo. Perché il corto circuito di due anni fa ha sancito l'
epilogue. Eppure, a bruciapelo la sensazione è più vicina allo spaesamento che all'ovvietà di turno.
L'altra metà dei
Daft Punk è dunque il primo a gettare la maschera e a mostrarsi su disco. Un ritorno solista, dopo l'esordio per la soundtrack di "Irréversible" nel 2002, decisamente atteso e che sottintende al contempo anche un cambio di rotta, un allontanamento volontario e totale dal glorioso passato.
Via dunque le macchine, come egli stesso afferma. Il parigino sposa la classica per antonomasia. Si inchina a Vivaldi, Bach e Prokofiev. E alla mitologia greca. Ma non solo.
Insomma, ci siamo capiti: "Mythologies" nasce, cresce e muore dentro la colonna sonora di una pellicola, per l'esattezza la musica di un balletto, ossia l'omonimo messo in piedi dal coreografo Angelin Preljocaj, lanciato lo scorso anno al Grand Théâtre de Bordeaux.
"Mythologies" è un album orchestrale come altri milioni. Bangalter si regge su fiati, ottoni e via discorrendo dell'Orchestre National Bordeaux Aquitaine per la direzione di Romain Dumas. Tuttavia, se l'esperimento con la Disney in "
Tron Legacy" aveva poco convinto, stavolta la delusione regna quasi sovrana. Non tanto perché la leggenda del
French touch e della
disco music tutta abbia deciso di appendere i sintetizzatori al chiodo, e nemmeno per le spaesanti preoccupazioni post-new age verso certe creazioni proprie della tecnica, come la tanto discussa intelligenza artificiale, sciorinate per dare un senso all'album, bensì proprio per la musica in sé. Perché i ventitré movimenti di "Mythologies" sono acqua annacquata. E si perdoni l'uscita lapalissiana.
Nulla infatti possono i legami con la mitologia greca, le amazzoni e addirittura il wrestling. Niente da fare: ogni nota cola come grasso inutile, buono al massimo per sciogliere le movenze dei ballerini in scena. Un appoggio, quindi. Uno scarico sulla fascia. A tratti anche un passaggio all'indietro per rifiatare. Ma mai un assist. Di gol, figuriamoci, manco l'ombra. Ci si ritrova perlopiù al cospetto di partiture laccate, altrove stantie, e di saliscendi orchestrali che in alcune occasioni sembrano quasi dei provini di un conservatorio a caso ("Thalestris", "Le Catch").
Nell'album trovano parecchio spazio le sinfonie bucoliche, con tempo spesso andante e moderato, e incerti minimalismi ("Aphrodite"). Gli archi "rinascimentali" di "Circonvolutions" puntano a loro volta al pathos, senza però spostare una foglia dal cuore. Mentre i momenti più rassegnati ("Danse Funèbre", "L'accouchement") mirano all'epico mancando clamorosamente il bersaglio.
Si potrebbe continuare a "infierire" su questa smania da compositore di Bangalter. Ma sarebbe solo un grosso spreco di energie. Resta, pertanto, una sola chiosa:
aridatece i
Daft Punk.
15/04/2023