"Misericordia": una parola da premersi contro il petto nella New York di metà anni 90. La prima Guerra del Golfo si allontana, la seconda si avvicina, lo sceriffo Giuliani imperversa, le tensioni razziali e sociali sono a fior di pelle. In disparte, l'uomo che meglio di ogni altro ha saputo raccontare i bassifondi della Grande Mela prende nota, attonito. Tanto orrore non lascia indifferente nemmeno lui.
A cavallo tra il '95 e il '98 Alan Vega non si ferma un attimo: collabora con artisti tanto diversi come possono essere Alex Chilton, Ric Ocasek, Mika Vainio e intanto incide a profusione per conto proprio, al punto da accumulare materiale in esubero che rimane nei cassetti. Supervisionato dalla vedova Liz Lamere insieme al fidato collaboratore Jared Artaud, "Insurrection" pesca dalle session immediatamente successive a quelle di "Mutator" (2021), primo album postumo a rovistare negli archivi. Se il periodo di riferimento è bene o male lo stesso, i contenuti sono agli antipodi: la natura scarna e vagamente contemplativa del lavoro precedente viene sbriciolata nel disco più feroce della sua intera carriera. È una musica così arcigna e violenta che la volontà di tenerla nell'ombra suona tutt’altro che ingiustificata, come se fosse stato il primo a rimanerne turbato. Tramontata la possibilità di un mutamento, non rimane che l'insurrezione.
Il primo estratto, "Mercy" per l'appunto, parla da sé: l’asettica ossessività dei Suicide cede il passo a una furibonda trance tribale, intonata con la tragica intensità di uno Scott Walker pestato a sangue sull'orlo di un marciapiede. Nel secondo, "Cyanide Soul", l'ansimare isterico dei suoi brani più iconici si riduce a un sussurro oltremondano, perverso e sensuale come il sapore di un'anima al cianuro.
Altrove, alla declamazione si preferisce l'urlo (gli scomposti ruggiti alla Michael Gira di "Sewer"), alla sottrazione il caos (la bolgia catastrofica di "Fireballer Spirit"). Non che le soluzioni arrangiative più articolate (il gospel distorto di "Invasion") o i rimandi più o meno trasparenti (il tema di "Doctor Who" in controluce su "Crash", "Chains" che fa il verso alla "Pagan Love Song" dei Virgin Prunes) rechino qualche conforto.
L'unico brano che può ricordare il sodalizio con Martin Rev s'intitola, significativamente, "Genocide": il singolo è estinto, il prossimo passo sarà sterminare le masse. Quanto agli oltre nove minuti di "Murder One", è una "Frankie Teardrop" rimasticata dai primi Bad Seeds, mentre nell'ermetico interludio strumentale di "Jet Lord" sembra già d'intravedere le lamiere accartocciate del WTC.
In un'America per l'ennesima volta sull'orlo del baratro, al pari del mondo che ha contribuito a plasmare, queste tracce hanno ancora il potere di dar corpo ai nostri incubi. E, forse, di spronarci a reagire.
09/06/2024